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VII
A PAOLO SARPI (IN VENEZIA)
(Firenze, 12 febbraio 1611)
Molto Rev. Padre e io Signore Colendissimo,
È tempo che io rompa uno assai lungo silenzio;
sebbene ove ha taciuto la lingua e quietato la mano, ha
però continuamente parlato il pensiero, ricordevole in
tutti i momenti della virtù e dei meriti di Vostra Sign.
Molto Rev., siccome degli obblighi infiniti che gli tengo.
Io non inarrerò perdono di questa mia apparente
negligenza verso i debiti che ho seco, come quello che
son sicuro che ella non dubiti che in qualunque
occorrenza concernente al suo o mio bisogno avrei avuta
la penna non meno pronta dell'animo e dell'effetto ad
ogni debito dell'antica amicizia e della osservanza che
ho alla sua persona. Ora, stimando io che ella, per
l'affezione verso di me, sia per volentieri intendere
dello stato mio, sì quanto al corpo come quanto alla
fortuna e quanto alla mente, vengo non meno volentieri a
darle di ciascheduno di questi particolari contezza.
E prima, quanto al primo, non posso veramente dirle
cosa né di suo né di mio gusto, provando, per il disuso
di tanti anni questa sottilissima aria iemale crudissima
inimica alla mia testa ed a tutto il resto del corpo; sì
che le doglie per le mie freddure, il profluvio del
sangue, con una grandissima languidezza di stomaco, mi
tengono da tre mesi in qua debole, disgustatissimo e
melanconico, quasi continuamente in casa, anzi in letto,
ma però senza sonno e quiete. Solamente li giorni
passati, che mi trattenni, mentre la Corte era a Pisa,
per lo spazio di tre settimane coll'Illustrissimo Signor
Filippo Salviati, gentiluomo di grandissimo spirito, in
una sua villa in questi poggi, stetti assai bene, e
conobbi immediate la bontà di quell'aria, e in
conseguenza la malignità di questa della città; sì che
mi converrà far pensiero di farmi abitator dei monti, se
no de' sepolcri: ed in questa occasione, ritornato il
Serenissimo Gran Duca ed inteso il mio stato, mi ha per
sua benignità fatto offerta dell'abitazione di qual mi
piacesse delle sue ville qui circumvicine, di aria
perfetta. Ma non solo in questo, anzi in ogni altro
particolare concernente al mio comodo, provo la benignità
di questo signor inclinatissima a favorirmi: onde non
devo della fortuna querelarmi, come dell'abito del corpo.
Quanto alle occupazioni della mente, non mi è mancato
che fare, a difendermi con la lingua e con la penna da
infiniti contradittori e oppositori contro alle mie
osservazioni; sebbene non me la sono né anco presa con
quell'ardore che pareva a molti che contro all'ardire
degli opponenti fusse bisognato, essendoché ero certo
che il tempo averebbe chiarite tutte le partite, siccome
in gran parte è sin qui succeduto. Poiché i matematici
di maggior grido di diversi paesi, e di Roma in
particolare, dopo essersi risi, ed in scrittura ed in
voce, per lungo tempo e in tutte le occasioni e in tutti
i luoghi, delle cose da me scritte, ed in particolare
intorno alla luna ed ai Pianeti Medicei, finalmente,
forzati dalla verità, mi hanno spontaneamente scritto,
confessando ed ammettendo il tutto: talché al presente
non provo altri contrari che i Peripatetici, più
parziali di Aristotele che egli medesimo non sarebbe, e
sopra gli altri quelli di Padova, sopra i quali io
veramente non spero vittoria. Queste occupazioni non mi
hanno però interamente rimosso dalle inquisizioni
celesti, sì che io non abbia potuto investigare qualche
altra cosa di nuovo: di che devo far parte a V. S. molto
R., e per lei a quei miei Signori e Padroni che ella sa
che sono per sentirla volentieri.
Parmi ricordare che sino l'Agosto passato io
conferissi seco l'osservazione di Saturno: il quale non
è altramente una sola stella, come gli altri pianeti, ma
sono tre, congiunte insieme in linea retta parallela
all'equinoziale; e stanno così oOo, cioè la media circa
quattro volte maggiore delle laterali, le quali sono tra
di loro eguali. Non hanno, in sette mesi che le ho
osservate, fatta mutazione alcuna; onde assolutamente
sono tra di loro immobili, perché (giacché sono così
vicine che pare che si tocchino) ogni moto che avessero,
benché minimo, si saria fatto sensibile. Perché, per
mio avviso, il diametro delle due minori non arriva a
quattro secondi: sicché, o si sariano totalmente
congiunte con la media, o evidentemente separate, quando
il lor moto fusse anco dieci volte più tardo di quello
delle stelle fisse; tuttavia, come ho detto, in sette
mesi non hanno fatto mutazione alcuna, se non di
mostrarsi più piccole tutte tre per la maggiore
lontananza dalla terra, ora che sono alla congiunzione,
che quando erano all'opposizion del sole: la qual
differenza è sensibilissima.
Stimando pure esser verissimo che tutti i pianeti si
volghino intorno al sole come centro dei loro orbi, e più
credendo che siano tutti per sé tenebrosi ed opachi come
la terra e la luna, mi posi quattro mesi sono, a osservar
Venere, la quale, essendo vespertina, mi si mostrò
perfettamente rotonda, ma assai piccola; e di tal figura
si mantenne molti giorni, crescendo però notabilmente in
mole. Avvicinandosi poi alla medesima digressione,
cominciò a sciemare dalla rotondità nella parte verso
oriente, ed in pochi giorni si ridusse ad esser
semicircolare; e di tal figura si mantenne circa un mese,
senza vedersi altra mutazione che di mole, la quale
notabilmente si accresceva. Finalmente nel ritirarsi
verso il sole cominciò ad incavarsi dove era retta, ed a
farsi pian piano corniculata: ed ora è ridotta in una
sottilissima falce, simile alla luna quattriduana. La
mole però della sua sfera è fatta tanto grande, che
dalla sua prima apparizione, quando la veddi rotonda, a
che si mostrò mezza ed a quello che si vede adesso, ci
è la differenza che mostrano le tre presenti figure o D
)). Sciemerà ancora sino alla occultazione, ed a mezzo
quest'altro mese la vederemo orientale, sottilissima; e
seguitando di lontanarsi dal sole, crescendo di lume e
sciemando di mole, nello spazio di tre mesi incirca si
ridurrà a mezzo cerchio, e tale, senza conoscervi
sensibile mutamento, si manterrà circa un mese; poi,
seguitando sempre di sciemare in mole, si farà in pochi
giorni interamente rotonda, della qual figura si mostrerà
per più di dieci mesi continui, trattone quei tre mesi
incirca che starà invisibile sotto i raggi del sole.
Or eccoci fatti certi che Venere si volge intorno al
sole, e non sotto (come credette Tolommeo), dove mai non
si mostrerebbe se non minore di mezzo cerchio; né meno
sopra (come piacque ad Aristotele), perché se fusse
superiore al sole, non si vedrebbe mai falcata, ma sempre
più di mezza assaissimo, e quasi sempre perfettamente
rotonda. E l'istesse mutazioni son sicuro che vedremo
fare a Mercurio. Perché poi tali diversità di forme e
di grandezze in Venere siano impercettibili con la vista
naturale, so io benissimo per le sue cagioni non occulte
all'ingegno di Vost. Riverenza: tra le quali la
piccolezza e la gran lontananza di essa Venere, in
comparazion della luna, ne è la principale, siccome anco
l'esperienza ci mostra; perché rivoltando il cannone sì
che rappresenti li oggetti piccoli e lontanissimi, la
medesima luna, quando è corniculata di tre giorni e non
più, ci apparisce rotonda e radiante, similissima a
Venere veduta con la vista naturale. Siamo in oltre da
queste medesime apparizioni di Venere fatti certi come i
pianeti tutti ricevono il lume dal sole, essendo per lor
natura tenebrosi. Ma io di più sono, per dimostrazione
necessaria, sicurissimo che le stelle fisse sono per sé
medesime lucidissime, né hanno bisogno dell'irradazione
del sole; la quale Dio sa se arriva in tanta lontananza.
Ho finalmente investigato il modo di poter sapere le
vere grandezze dei pianeti tutti: nell'assegnar delle
quali, trattone il sole e la luna, si sono ingannati
quelli che ne hanno trattato, in tutti gli altri pianeti
grandissimamente, ed in taluno di loro di più di seimila
per cento.
Quanto ai Pianeti Medicei, vo continuando di
osservargli; ed avendo migliorato lo strumento, gli
scorgo più apparenti assai che le stelle della seconda
grandezza: di che ne è certo argomento il vedergli
adesso poco dopo il tramontar del sole, ed un pezzo
avanti che si scorghino i Gemelli o il Cingolo di Orione.
E spero di aver trovato il modo da poter determinare i
periodi di tutti quattro; cosa stimata per impossibile
dal Keplero e da altri matematici.
Io speravo di esser per venir costà questa
quadragesima, per ristampar queste mie osservazioni: ma
mi sono tanto multipliplicate per le mani, che mi sarà
forza indugiare a fatto Pasqua. Intanto non voglio mancar
di dire a V. S. molto R. e all'Illustris. Sign.
Sebastiano Veniero, che caso che gl'Illustriss. Signori
Riformatori non abbino fin qui fatto provisione di
Matematico per Padova, voglino proccurar di trattenergli;
perché spero di esser per metter loro per le mani
persona di grande stima ed atta a poter difendere la
dignità ed eccellenza di così nobil professione contro
a quelli che cercano di esterminarla, li quali in Padova
non mancano, come benissimo sanno. E so che tali
proccureranno che sia condotto qualche soggetto da
poterlo dominare e spaventare, acciocché se mai si
scuopre qualche cosa vera e di garbo, ella resti dalla
loro tirannide soffogata Ma mi giova sperare nella
prudenza di tanti che intendono in cotesto Senato, che
non seguirà elezione se non ottima.
Ora io l'ho impedita assai: perdoni al diletto che ho
di parlar con lei; e volendo favorirmi di sue lettere,
potrà mandarmele come questa, sotto quelle
dell'Illustriss. Signor Veniero. Restami a pregarla di
farmi grazia di ricordarmi servitore devotissimo a tanti
Illustriss. miei Signori, dei quali vivo, come sempre fui
devotissimo servitore; e con ogni affetto gli bacio le
mani.
Di Firenze, li 12 di Febbraio 1611
Di V. S. molto R. Servitore Devotissimo
Galileo Galilei.

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