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VIIIa
PRIMA LETTERA DEL SIG. GALILEO GALILEI
AL SIG. MARCO VELSERI I CIRCA LE
MACCHIE SOLARI
(Villa delle Selve, 4 maggio 1612)
Illustrissimo Sig. e Padron Colendissimo,
Alla cortese lettera di V. S. Illustrissima, scrittami
tre mesi fa, rendo tarda risposta, essendo stato quasi
necessitato a usare tanto silenzio da varii accidenti, ed
in particolare da una lunga indisposizione, o, per meglio
dire, da lunghe e molte indisposizioni, le quali,
vietandomi tutti gli altri esercizii ed occupazioni, mi
toglievano principalmente di potere scrivere, sì come
anco in gran parte me lo levano al presente, pure non
tanto rigidamente, che io non possa almeno rispondere ad
alcuna delle lettere de gli amici e padroni, delle quali
mi ritrovo non picciol numero, che tutte aspettano
risposta. Ho anco taciuto su la speranza di potere dar
qualche satisfazione alla domanda di V. S. intorno alle
macchie solari, sopra il quale argomento ella mi ha
mandato quei brevi discorsi del finto Apelle; ma la
difficoltà della materia e 'l non avere io potuto far
molte osservazioni continuate mi hanno tenuto e tengono
ancora sospeso ed irresoluto: ed a me conviene andare
tanto più cauto e circospetto, nel pronunziare novità
alcuna, che a molti altri, quanto che le cose osservate
di nuovo e lontane da i comuni e popolari pareri, le
quali, come ben sa V. S., sono state tumultuosamente
negate ed impugnate, mi mettono in necessità di dovere
ascondere e tacere qual si voglia nuovo concetto, sin che
io non ne abbia dimostrazione più che certa e palpabile;
perché da gl'inimici delle novità, il numero de i quali
è infinito, ogni errore, ancor che veniale, mi sarebbe
ascritto a fallo capitalissimo, già che è invalso l'uso
che meglio sia errar con l'universale, che esser
singolare nel rettamente discorrere. Aggiugnesi che io mi
contento più presto di esser l'ultimo a produrre qualche
concetto vero, che prevenir gli altri per dover poi
disdirmi nelle cose con maggior fretta e con minor
considerazione profferite. Questi rispetti mi hanno reso
lento in risponder alle domande di V. S. Illustrissima, e
tuttavia mi fanno timido in produrre altro che qualche
proposizion negativa, parendomi di saper più tosto
quello che le macchie solari non sono, che quello che
elleno veramente siano, ed essendomi molto più difficile
il trovar il vero, che 'l convincere il falso. Ma per
satisfare almeno in parte al desiderio di V. S., anderò
considerando quelle cose che mi paiono degne di esser
avvertite nelle tre lettere del finto Apelle, già che
ella così comanda, e che in quelle si contiene ciò che
sin qui è stato immaginato per definire circa l'essenza
il luogo ed il movimento di esse macchie.
E prima, che esse siano cose reali, e non semplici
apparenze o illusioni dell'occhio o de i cristalli, non
ha dubbio alcuno, come ben dimostra l'amico di V. S.
nella prima lettera; ed io le ho osservate da 18 mesi in
qua, avendole fatte vedere a diversi miei intrinseci, e
pur l'anno passato, appunto in questi tempi, le feci
osservare in Roma a molti prelati ed altri signori. È
vero ancora, che non restano fisse nel corpo solare, ma
appariscono muoversi in relazion di esso, ed anco di
movimenti regolati, come il medesimo autore ha notato
nella medesima lettera. È ben vero che a me pare che il
moto sia verso le parti contrarie a quelle che l'Apelle
asserisce, cioè da occidente verso oriente, declinando
dal mezzogiorno in settentrione, e non da oriente verso
occidente e da borea verso mezzogiorno; il che anco
nell'osservazioni descritte da lui medesimo, le quali in
questo confrontano con le mie e con quante io ne ho
vedute di altri, assai chiaramente si scorge: dove si
veggon le macchie osservate nel tramontar del Sole
mutarsi di sera in sera, descendendo dalle parti
superiori del Sole verso le inferiori; e quelle della
mattina ascendendo dalle inferiori verso le superiori,
scoprendosi nel primo apparire nelle parti più australi
del corpo solare, ed occultandosi o separandosi da quello
nelle parti più boreali, descrivendo in somma nella
faccia del Sole linee per quel verso appunto che fariano
Venere o Mercurio, quando nel passar sotto 'l Sole
s'interponessero tra quello e l'occhio nostro. Il
movimento, dunque, delle macchie rispetto al Sole appar
simile a quello di Venere e di Mercurio e de gli altri
pianeti ancora intorno al medesimo Sole, il qual moto è
da ponente a levante, e per l'obliquità dell'orizonte ci
sembra declinare da mezzogiorno in settentrione. Se
Apelle non supponesse che le macchie girassero intorno al
Sole, ma che solamente gli passassero sotto, è vero che
il moto loro doveria chiamarsi da levante a ponente; ma
supponendo che quelle gli descrivino intorno cerchii, e
che ora gli siano superiori ora inferiori, tali
revoluzioni devono chiamarsi fatte da occidente verso
oriente, perché per tal verso si muovono quando sono
nella parte superiore de i loro cerchi.
Stabilito che ha l'autore, che le macchie vedute non
sono illusioni dell'occhiale o difetti dell'occhio, cerca
di determinare in universale qualche cosa circa il luogo
loro, mostrando che non sono né in aria né nel corpo
solare. Quanto al primo, la mancanza di parallasse
notabile mostra di concluder necessariamente, le macchie
non esser nell'aria, cioè vicine alla Terra, dentro a
quello spazio che comunemente si assegna all'elemento
dell'aria. Ma che le non possin esser nel corpo solare,
non mi par con intera necessità dimostrato; perché il
dire, come egli mette nella prima ragione, non esser
credibile che nel corpo solare siano macchie oscure,
essendo egli lucidissimo, non conclude: perché in tanto
doviamo noi dargli titolo di purissimo e lucidissimo, in
quanto non sono in lui state vedute tenebre o impurità
alcuna; ma quando ci si mostrasse in parte impuro e
macchiato, perché non doveremmo noi chiamarlo e macolato
e non puro? I nomi e gli attributi si devono accomodare
all'essenza delle cose, e non l'essenza a i nomi; perché
prima furon le cose, e poi i nomi. La seconda ragione
concluderebbe necessariamente, quando tali macchie
fussero permanenti ed immutabili; ma di questa parlerò
più di sotto.
Quello che in questo luogo vien detto da Apelle, cioè
che le macchie apparenti nel Sole siano molto più negre
di quelle che mai si siano vedute nella Luna, credo che
assolutamente sia falso; anzi stimo che le macchie vedute
nel Sole siano non solamente meno oscure delle macchie
tenebrose che nella Luna si scorgono, ma che le siano non
meno lucide delle più luminose parti della Luna,
quand'anche il Sole più direttamente l'illustra: e la
ragione che a ciò creder m'induce, è tale. Venere nel
suo esorto vespertino, ancor che ella sia di così gran
splendor ripiena, non si scorge se non poi che è per
molti gradi lontana dal Sole, e massime se amndue saranno
elevati dall'orizonte; e ciò avviene per esser le parti
dell'etere, circonfuse intorno al Sole, non meno
risplendenti dell'istessa Venere: dal che si può
arguire, che se noi potessimo por la Luna accanto al
Sole, splendida dell'istessa luce che ella ha nel
plenilunio, ella veramente resterebbe invisibile, come
quella che verria collocata in un campo non meno
splendente e chiaro della sua propria faccia. Ora pongasi
mente, quando col telescopio, cioè con l'occhiale,
rimiriamo il lucidissimo disco solare, quanto e quanto
egli ci appar più splendido del campo che lo circonda;
ed, in oltre, paragoniamo la negrezza delle macchie
solari sì con la luce dell'istesso Sole come con
l'oscurità dell'ambiente contiguo: e troveremo, per
l'uno e per l'altro paragone, non esser le macchie del
Sole più oscure del campo circonfuso. Se dunque
l'oscurità delle macchie solari non è maggior di quella
del campo che circonda il medesimo Sole, e se, di più,
lo splendor ella Luna resterebbe impercettibile nella
chiarezza del medesimo ambiente, adunque per necessaria
consequenza si conclude, le macchie solari non esser
punto men chiare delle parti più splendide della Luna,
ben che, situate nel fulgidissimo campo del disco solare,
ci si mostrino tenebrose e nere: e se esse non cedono di
chiarezza alle più luminose parti della Luna, quali
saranno elleno in comparazione delle più oscure macchie
di essa Luna? e massime se noi volessimo intender delle
macchie tenebrose cagionate dalle proiezzioni dell'ombre
delle montuosità lunari, le quali in comparazione delle
parti illuminate non sono manco nere che l'inchiostro
rispetto a questa carta. E questo voglio che sia detto
non tanto per contradire ad Apelle, quanto per mostrare
come non è necessario por la materia di esse macchie
molto opaca e densa, quale si deve ragionevolmente
stimare che sia quella della Luna e de gli altri pianeti;
ma una densità ed opacità simile a quella di una nugola
è bastante, nell'interporsi tra 'l Sole e noi, a far una
tale oscurità e negrezza.
Quanto poi a quello che l'Apelle in questo luogo
accenna e che più diffusamente tratta nella seconda
epistola, cioè di poter con quella strada venir in
certezza se Venere e Mercurio faccino le loro revoluzioni
sotto o pur intorno al Sole, io mi sono alquanto
maravigliato che non gli sia pervenuto all'orecchie, o,
se pur gli è pervenuto, che ei non abbia fatto capitale
del mezzo esquisitissimo, sensato e che frequentemente
potrà usarsi, scoperto da me quasi due anni sono, e
communicato a tanti che ormai è fatto notorio: e questo
è, che Venere va mutando le figure nell'istesso modo che
la Luna, ed in questi tempi potrà Apelle osservarla col
telescopio, e la vedrà di figura perfetta circolare e
molto piccola, se bene assai minore si vedeva nel suo
esorto vespertino; potrà poi seguitare di osservarla, e
la vedrà, intorno alla sua massima digressione, in
figura di mezzo cerchio; dalla qual figura ella passerà
alla forma falcata, assottigliandosi pian piano secondo
che ella si anderà avvicinando al Sole; intorno alla cui
congiunzione si vedrà così sottile come la Luna di due
o tre giorni; la grandezza del suo visibil cerchio sarà
in guisa accresciuta, che ben si conoscerà l'apparente
suo diametro nell'esorto vespertino esser meno che la
sesta parte di quello che si mostrerà nell'occultazione
vespertina o esorto mattutino, ed in consequenza il suo
disco apparir quasi 40 volte maggiore in questa positura
che in quella: le quali cose non lascieranno luogo ad
alcuno di dubitare qual sia la revoluzione di Venere, ma
con assoluta necessità conchiuderanno, conforme alle
posizioni de i Pitagorici e del Copernico, il suo
rivolgimento esser intorno al Sole, intorno al quale come
centro delle lor revoluzioni, si raggirano tutti gli
altri pianeti. Non occorre, dunque, aspettar congiunzioni
corporali per accertarsi di così manifesta conclusione,
né produr razioni soggette a qualche risposta, ben che
debole, per guadagnarsi l'assenso di quelli la cui
filosofia viene stranamente perturbata da questa nuova
costituzion dell'universo; perché loro, quand'altro non
gli stringesse, diranno che Venere o risplenda per sé
stessa, o sia di sustanza penetrabile da i raggi solari,
sì che ella venga illustrata non solamente secondo la
superficie, ma secondo tutta la profondità ancora; e
tanto più animosamente potranno farsi scudo di questa
risposta, quanto non sono mancati filosofi e matematici
che hanno creduto così (e questo sia detto con pace
d'Apelle che scrive altramente), ed al Copernico medesimo
convien amettere come possibile, anzi pur come
necessaria, una delle dette posizioni, non avendo egli
potuto render ragione in qual guisa Venere, quando è
sotto 'l Sole, non si mostri cornicolata: e veramente
altro non poteva dirsi avanti che il telescopio venisse a
farci vedere come ella è veramente per sé stessa
tenebrosa come la Luna, e che come quella va mutando
figure. Ma io, oltre a ciò, posso muover gran dubbio
nell'inquisizione d'Apelle, mentre egli, nella
congiunzione presa da lui, cerca di veder Venere nel
disco del Sole, supponendo che veder vi si dovrebbe in
guisa d'una macchia assai maggiore d'alcuna delle vedute,
essendo il suo visibil diametro minuti tre, ed in
consequenza la sua superficie più di una delle
centotrenta parti di quella del Sole: ma ciò, con sua
pace, non è vero, ed il visibil diametro di Venere non
era allora né anco la sesta parte di un minuto, e la sua
superficie era minore di una delle quarantamila parti
della superficie del Sole, sì come io so per sensata
esperienza ed a suo tempo farò manifesto ad ogn'uno.
Vegga dunque V. S. gran campo che si lascerebbe a coloro
che volessero pur con Tolomeo ritener Venere sotto il
Sole, i quali potrebbon dire che in vano si cercasse di
veder un sì picciol neo nell'immensa e lucidissima
faccia di quello. E finalmente aggiungo, che tale
esperienza non convincerà necessariamente quelli che
negassero la revoluzione di Venere intorno al Sole, perché
potrebbon sempre ritirarsi a dire che ella fosse superior
al Sole, fortificandosi appresso con l'autorità di
Aristotele che tale la stimò. Non basta, dunque, che
Apelle mostri che Venere nelle corporali congiunzioni
mattutine non passa sotto 'l Sole, se egli non mostrasse
ancora come nelle congiunzioni vespertine ella gli
passasse sotto: ma tali congiunzioni vespertine, che
siano però corporali, si fanno rarissime volte, ed a noi
non succederà il poterne vedere: adunque l'argomento
d'Apelle è manchevole per concluder il suo intento.
Vengo ora alla terza lettera, nella quale Apelle più
risolutamente determina del luogo, del movimento e della
sustanza di queste macchie, concludendo che siano stelle,
le quali, poco lontane dal corpo solare, intorno se gli
vadino volgendo alla guisa di Mercurio e di Venere.
Per determinar del luogo comincia a dimostrar, quelle
non esser nell'istesso corpo del Sole, il quale col
rivolgersi in sé stesso ce le rappresenti mobili; perché,
passando il veduto emisfero in giorni quindici, doveriano
ogni mese ritornar l'istesse, il che non succede.
L'argomento sarebbe concludente, tuttavolta che prima
constasse che tali macchie fussero permanenti, cioè che
non si producessero di nuovo, ed anco si cancellassero e
svanissero; ma chi dirà che altre si fanno ed altre si
disfanno, potrà anco sostenere che il Sole, rivolgendosi
in sé stesso, le porti seco senza necessità di
rimostrarci mai le medesime, o nel medesimo ordine
disposte, o delle medesime forme figurate. Ora, il provar
che elle sian permanenti, l'ho per cosa difficile, anzi
impossibile ed a cui il senso repugni; ed il medesimo
Apelle ne averà vedute alcune mostrarsi, nel primo
apparir, lontane dalla circonferenza del Sole, ed altre
svanire e perdersi prima che finischino di traversare il
Sole, perché io ancora di tali ne ho osservate molte.
Non però affermo o nego che le siano nel Sole, ma
solamente dico non esser a sufficienza stato dimostrato
che le non vi siino.
Nel resto poi, che l'autore soggiugne per dimostrare
che le non sono in aria o in alcun de gli orbi inferiori
al Sole, mi par di scorgervi qualche confusione, ed in un
certo modo incostanza, ripigliand'ei, pur come vero,
l'antico e comune sistema di Tolomeo, della cui falsità
ei medesimo poco avanti ha mostrato di essersi accorto,
mentre che ha concluso che Venere non ha altramente la
sua sfera inferiore al Sole, ma che intorno a quello si
raggira, essendo ora di sopra ed ora di sotto, ed
affermato l'istesso di Mercurio, le cui digressioni,
essendo assai minori di quelle di Venere, necessitano a
porlo più propinquo al Sole; tuttavia in questo luogo,
quasi rifiutando quella che egli ha poco fa creduta, e
che in effetto è, verissima costituzione, introduce la
falsa, facendo alla Luna succeder Mercurio, ed a lui
Venere. Volsi scusar questo poco di contradizione con dir
che egli non avesse fatto stima di nominar, dopo la Luna,
prima Mercurio che Venere, o questa che quello, come che
poco importasse il registrargli preposteramente in
parole, pur che in fatto si ritenessero nella vera
disposizione: ma il vedergli poi provar per via della
parallasse che le macchie solari non sono nella sfera di
Mercurio, e soggiugner che tal mezzo non sarebbe per
avventura efficace in Venere per la piccolezza della
parallasse simile a quella del Sole, rende nulla la mia
scusa, perché Venere averà delle parallassi maggiori
assai che quelle di Mercurio e del Sole.
Parmi per tanto di scorgere che Apelle, come d'ingegno
libero e non servile, e capacissimo delle vere dottrine,
cominci, mosso dalla forza di tante novità, a dar
orecchio ed assenso alla vera e buona filosofia, e
massime in questa parte che concerne alla costituzione
dell'universo, ma che non possa ancora staccarsi
totalmente dalle già impresse fantasie, alle quali torna
pur talora l'intelletto abituato dal lungo uso a prestar
l'assenso: il che si scorge altresì, pur in questo
medesimo luogo, mentre egli cerca di dimostrare che le
macchie non sono in alcun de gli orbi della Luna di
Venere o di Mercurio, dove ei va ritenendo come veri e
reali e realmente tra loro distinti e mobili quelli
eccentrici totalmente o in parte, quei deferenti,
equanti, epicicli etc., posti da i puri astronomi per
facilitar i lor calcoli, ma non già da ritenersi per
tali da gli astronomi filosofi, li quali, oltre alla cura
del salvar in qualunque modo l'apparenze, cercano
d'investigare, come problema massimo ed ammirando, la
vera costituzione dell'universo, poi che tal costituzione
è, ed è in un modo solo, vero, reale ed impossibile ad
esser altramente, e per la sua grandezza e nobiltà degno
d'esser anteposto ad ogn'altra scibil questione da
gl'ingegni specolativi. Io non nego già i movimenti
circolari intorno alla Terra e sopra altro centro che
quello di lei, né tanpoco gli altri moti circolari
separati totalmente dalla Terra, cioé che non la
circondano e riserrano dentro i cerchi loro; perché
Marte, Giove e Saturno, con i loro appressamenti e
discostamenti, mi accertano di quelli, e Venere e
Mercurio e più i quattro pianeti Medicei; mi fanno
toccar con mano questi, e per consequenza son sicurissimo
che ci sono moti circolari che descrivono cerchi
eccentrici ed epicicli: ma che per descriverli tali la
natura si serva realmente di quella faragine di sfere ed
orbi figurati da gli astronomi, ciò reputo io così poco
necessario a credersi, quanto accomodato all'agevolezza
de' computi astronomici; e sono d'un parer medio tra
quegli astronomi li quali ammettono non solo i movimenti
eccentrici delle stelle, ma gli orbi e le sfere ancora
eccentriche, le quali le conduchino, e quei filosofi che
parimente negano e gli orbi e i movimenti ancora intorno
ad altro centro che quello della Terra. Però, mentre si
tratta d'investigar il luogo delle macchie solari, avrei
desiderato che Apelle non l'avesse scacciate da un luogo
reale che si trova tra gli immensi spazii ne i quali si
raggirano i piccioli corpicelli della Luna di Venere e di
Mercurio, scacciate, dico, in virtù d'una immaginaria
supposizione, che tali spazii sieno interamente occupati
da orbi eccentrici epicicli e deferenti, disposti, anzi
necessitati, a portar con loro ogn'altro corpo che in
essi venisse situato, sì ch'ei non potesse per se stesso
vagare verso niun'altra banda, se non dove con troppo
dura catena il ciel ambiente gli rapisse: e tanto meno
vorrei questo, quanto io veggo il medesimo Apelle a canto
a canto conceder questo stesso che prima avea negato.
Avea detto che le macchie non possono essere in alcuno de
gli orbi della Luna di Venere o di Mercurio, perché se
in quelli fossero, seguiterebbono il movimento loro:
suppone, dunque, che elleno movimento alcuno proprio aver
non vi potessero: concludendo poi che le siano nell'orbe
del Sole, ammette che le vi si muovino con revoluzioni
proprie; sì che le siano potenti a vagar per la solare
sfera: ma se mi sarà conceduto che le possino muoversi
per il cielo del Sole, non doverà essermi negato che le
possino similmente discorrer per quel di Venere; e se mi
vien conceduto il muoversi un poco ed il non ubbidire
interamente al rapimento della sfera continente, io non
averò per inconveniente il muoversi molto e 'l non
ubbidir punto.
Io non voglio passar un altro poco di scrupolo che mi
nasce sopra questo medesimo luogo, nel chiuder che fa
Apelle la sua ultima illazione: dove par ch'ei determini
che le macchie siano finalmente nel ciel del Sole (ed è
ben necessario il porvele, poi che, per suo parere, le si
raggirano intorno ad esso, ed in cerchi molto angusti);
soggiugne poi, quelle non poter essere nell'eccentrico
del Sole, né negli eccentrici «secundum quid», né in
altro orbe, e altro ve ne fosse. Or qui non posso
intendere, in qual modo e possino essere nel cielo del
Sole ed intorno al corpo solare aggirarsi, senza esser in
alcun de gli orbi de' quali la sfera del Sole vien
composta.
Li tre argomenti che Apelle pone appresso per
necessariamente convincenti, le macchie muoversi
circolarmente intorno al Sole, par che abbino ben assai
del probabile; non però mancano di qualche ragione di
dubitare. Quanto al primo, lo scemar la larghezza delle
macchie vicino al lembo del Sole darebbe segno che le
fussero stelle, che girandosi in cerchi poco più ampli
del corpo solare, cominciassero a mostrar la parte
illustrata alla guisa della Luna o di Venere, onde la
parte tenebrosa venisse a diminuirsi. Se non che ad
alcuni che diligentemente hanno osservato, pare che la
diminuzione delle tenebre si faccia al contrario di
quello che bisognerebbe, cioè non nella parte che
risguarda verso il centro del Sole, ma nell'aversa; ed a
me non appare altro, se non che le si assottigliano.
Quanto al secondo, il dividersi quella, che vicino alla
circonferenza pareva una macchia sola, in molte, ha
questa difficoltà, che anco nella parti di mezzo si
scorgono grandissime mutazioni d'accrescimento, di
diminuzione, di accoppiamento e di separazione tra esse
macchie; ed io porrò appresso alcune mutazioni osservate
da me. La differenza poi che si scorge tra la velocità
del moto loro circa le parti medie e la tardità
nell'estreme, presa per il terzo argomento, essendo, come
pare, molto notabile, parrebbe che arguisse più presto,
quelle dover esser nell'istesso corpo solare e muoversi
al movimento di quello in sé stesso, che il
raggirarsegli intorno in altri cerchi, perché simil
differenza di velocità resterebbe quasi impercettibile
al semplice senso, ogni volta che tali cerchi per qualche
notabile spazio, ben che non molto grande, si
allargassero dalla superficie del Sole, come nella
medesima figura posta da Apelle si comprende. E qui par
che nasca in lui un poco di contradizzione a sé stesso:
perché in questo luogo è necessario porre i cerchi
delle conversioni delle macchie vicinissimi al globo
solare; altramente l'accrescimento della velocità del
moto, e la separazione ed allontanamento delle macchie
verso il mezzo del disco, le quali presso alla
circonferenza mostravano di toccarsi, resterebbono nulli:
all'incontro, dall'argomento col quale ei poco di sopra
provò le macchie non esser contigue al Sole, bisogna che
necessariamente ei concludesse, i detti cerchi esser dal
medesimo assai lontani; poi che solamente la quinta parte
al più della lor circonferenza poteva restar interposta
tra 'l disco solare e l'occhio nostro, già che,
traversando le macchie l'emisfero veduto in 15 giorni,
non erano ancora ritornate a comparire in due mesi.
Bisogna, dunque, diligentemente osservare con qual
proporzione vada crescendo, e poi diminuendo, la detta
velocità dal primo apparir di qualche macchia all'ultimo
ascondersi; perché da tal proporzione si potrà poi
arguire, se il movimento suo è fatto nella superficie
stessa del corpo solare, o pure in qualche cerchio da
quella separato, posto però che tal mutazione di macchie
dependa da semplice movimento circolare.
Restaci da considerar quello che Apelle determina
circa l'essenza e sustanza di esse macchie: ch'è in
somma, che le non siano né nugole né comete, ma stelle
che vadino raggirandosi intorno al Sole. Circa a cotal
determinazione, io confesso a V. S. non aver sin ora
tanto di resoluto appresso di me, ch'io m'assicuri di
stabilire ed affermare conclusione alcuna come certa;
essendo molto ben sicuro, la sustanza delle macchie poter
essere mille cose incognite ed inopinabili a noi, e gli
accidenti che in esse scorgiamo, cioè la figura l'opacità
ed il movimento, per esser comunissimi, o niuna o poca e
molto general cognizione ci possono somministrare: onde
io non crederei che di biasimo alcuno fosse degno quel
filosofo, il qual confessasse di non sapere, e di non
poter sapere, qual sia la materia delle macchie solari.
Ma se noi vorremo, con una certa analogia alle materie
nostre familiari e conosciute, proferir qualche cosa di
quello che le sembrino di poter essere, io sarei
veramente di parere in tutto contrario all'Apelle; perché
ad esse non mi par che si adatti condizione alcuna
dell'essenziali che competono alle stelle, ed
all'incontro non trovo in quelle condizione alcuna, che
di simili non si vegghino nelle nostre nugole. Il che
troveremo discorrendo in tal guisa.
Le macchie solari si producono e si dissolvono in
termini più e men brevi; si condensano alcune di loro e
si distraggono grandemente da un giorno all'altro; si
mutano di figure, delle quali le più sono
irregolarissime, e dove più e dove meno oscure, ed
essendo o nel corpo solare o molto a quello vicine, è
necessario che siano moli vastissime; sono potenti, per
la loro difforme opacità, a impedir più e meno
l'illuminazion del Sole; e se ne producono talora molte,
tal volta poche, ed anco nessuna. Ora, moli vastissime ed
immense, che in tempi brevi si produchino e si
dissolvino, e che talora durino più lungo tempo e tal
ora meno che si distragghino e si condensino, che
facilmente vadino mutandosi di figura, che siano in
queste parti più dense ed opache ed in quelle meno,
altre non si trovano appresso di noi fuori che le nugole;
anzi, che tutte l'altre materie sono lontanissime dalla
somma di tali condizioni. E non è dubbio alcuno, che se
la Terra fosse per sé stessa lucida, e che di fuori non
li sopragiugnesse l'illuminazione del Sole, a chi potesse
da grandissima lontananza risguardarla, ella veramente
farebbe simili apparenze: perché, secondo che or questa
ed or quella provincia fosse dalle nuvole ingombrata, si
mostrerebbe sparsa di macchie oscure, dalle quali,
secondo la maggior o minor densità delle lor parti,
verrebbe più o meno impedito lo splendor terrestre; onde
esse dove più e dove meno oscure apparirebbono;
vedrebbonsene or molte; or poche, ora allargarsi, ora
ristringersi; e se la Terra in sé stessa si rivolgesse,
quelle ancora il suo moto seguirebbono; e per esser di
non molta profondità rispetto all'ampiezza secondo la
quale comunemente elle si distendono, quelle che nel
mezzo dell'emisfero veduto apparirebbono molto larghe,
venendo verso l'estremítà parrebbono ristringersi; ed
in somma accidente alcuno non credo che si scorgesse, che
simile non si vegga nelle macchie solari. Ma perché la
Terra è oscura, e l'illuminazione viene dal lume esterno
del Sole, se ora potesse da lontanissimo luogo esser
veduta, non si vedrebbe assolutamente in lei negrezza o
macchia alcuna cagionata dallo spargimento delle nugole,
perché queste ancora riceverebbono e refletterebbono il
lume del Sole. [...]
Da queste osservazioni e da altre fatte, e da quelle
che potranno di giorno in giorno farsi, manifestamente si
raccoglie, niuna materia esser tra le nostre, che imiti
più gli accidenti di tali macchie, che le nugole: e le
ragioni che Apelle adduce per mostrar che le non possin
esser tali, mi paiono di pochissima efficacia. Perché al
dir egli: «Chi porrebbe mai nubi intorno al Sole?»,
risponderei: «Quello che vedesse tali macchie, e che
volesse dir qualche verisimile della loro essenza; perché
non troverà cosa alcuna da noi conosciuta che più le
rassimigli.» All'interrogazione ch'ei fa, quant'esse
fussero grandi, direi: «Quali noi le veggiamo essere in
comparazione del Sole; grandi quanto quelle che talvolta
occupano una gran provincia della Terra»; e se tanto non
bastasse, direi due, tre, quattro e dieci volte tanto. E
finalmente, al terzo impossibile ch'ei produce, come esse
potessero far tant'ombra, risponderei, la lor negrezza
esser minore di quella che ci rappresenterebbono le
nostre nugole più dense, quando tra l'occhio nostro ed
il Sole fossero interposte: il che si potrà osservare
benissimo, quando tal volta una delle più oscure nugole
ricuopre una parte del Sole, e che nella parte scoperta
vi sia alcuna delle macchie, perché si scorgerà tra la
negrezza di questa e di quella non piccola differenza,
ancor che l'estremità della nugola, che traversa il
Sole, non possa esser di gran profondità; perloché
possiamo arguire che una crassissima nugola potrebbe far
una negrezza molto maggiore di quella delle più scure
macchie. Ma quando pur ciò non fosse, chi ci vieterebbe
il credere e dire, alcuna delle nubi solari esser più
densa e profonda delle terrene?
Io non per questo affermo, tali macchie esser nugole
della medesima sustanza delle nostre, costituite da
vapori aquei sollevati dalla Terra ed attratti dal Sole;
ma solo dico che noi non aviamo cognizione di cosa alcuna
che più le rassimigli: siano poi o vapori, o esalazioni,
o nugole, o fumi prodotti dal corpo solare, o da quello
attratti da altre bande, questo a me è incerto, potendo
esser mille altre cose impercettibili da noi.
Dalle cose dette si può raccòrre, come a queste
macchie mal convenga il nome di stelle: poi che le
stelle, o siano fisse o siano erranti, mostrano di
mantener sempre la loro figura, e questa essere sferica;
non si vede che altre si dissolvino ed altre di nuovo si
produchino, ma sempre si conservano le medesime; ed hanno
i movimenti loro periodici, li quali dopo alcun
determinato tempo ritornano: ma queste macchie non si
vede che ritornino le medesime, anzi all'incontro alcune
si veggono dissolvere in faccia del Sole; e credo che in
vano si aspetti il ritorno di quelle che par ad Apelle
che possino rivolgersi intorno al Sole in cerchi molto
angusti. Mancano, dunque, delle principali condizioni che
competono a quei corpi naturali a i quali noi abbiamo
attribuito il nome di stelle. Che poi le si debbino
chiamare stelle perché son corpi opachi, e più densi
della sostanza del cielo, e però che resistino al Sole,
e da quello grandemente venghino illustrate in quella
parte ch'è percossa da i raggi, e dall'opposta
produchino ombra molto profonda etc., queste son
condizioni che competono ad ogni sasso, al legno, alle
nugole più dense, ed in somma a tutti i corpi opachi: ed
una palla di marmo resiste per la sua opacità al lume
del Sole, da quello viene illustrata, come la Luna o
Venere, e dalla parte opposta produce ombra, tal che per
questi rispetti potrebbe nominarsi una stella; ma perché
gli mancano l'altre condizioni più essenziali, delle
quali sono altresì spogliate le macchie solari, però
par che il nome di stella non deva esserli attribuito.
Io non vorrei già, che Apelle annumerasse in questa
schiera come egli fa, i compagni di Giove (credo che
voglia intender de' quattro pianeti Medicei); perché
loro si mostrano costantissimi come ogn'altra stella,
sempre lucidi, eccetto che quando incorrono nell'ombra di
Giove, perché allora s'eclissano, come la Luna in quella
della Terra; hanno i lor periodi ordinatissimi e tra di
loro differenti, e già da me precisamente ritrovati; né
si muovono in un cerchio solo, come Apelle mostra o
d'aver creduto o almeno pensato che altri abbino creduto,
ma hanno i lor cerchi distinti e di grandezze diverse,
intorno a Giove come lor centro, le quali grandezze ho
parimente ritrovate; come anco mi son note le cause del
quando e perché or l'uno or l'altro di loro declina o
verso borea o verso austro in relazione a Giove, e forse
potrei aver le risposte all'obiezzioni che Apelle accenna
cadere in questa materia, quando ei l'avesse specificate.
Ma che tali pianeti siano più de i quattro sin qui
osservati, come Apelle dice di tener per certo, forse
potrebbe esser vero; e l'affermativa così resoluta di
persona, per quel ch'io stimo, molto intendente, mi fa
creder ch'ei ne possa aver qualche gran coniettura, della
quale io veramente manco: e però non ardirei d'affermare
cosa alcuna, perché dubiterei di non m'aver poi col
tempo a disdire. E per questo medesimo rispetto non mi
risolverei a porre intorno a Saturno altro che quello che
già osservai e scopersi, cioè due piccole stelle, che
lo toccano una verso levante e l'altra verso ponente,
nelle quali non s'è mai per ancora veduta mutazione
alcuna, né resolutamente è per vedersi per l'avvenire,
se non forse qualche stravagantissimo accidente, lontano
non pur da gli altri movimenti cogniti a noi, ma da ogni
nostra immaginazione. Ma quella che pone Apelle, del
mostrarsi Saturno ora oblongo ed or accompagnato con due
stelle a i fianchi, creda pur V. S. ch'è stata
imperfezzione dello strumento o dell'occhio del
riguardante; perché, sendo la figura di Saturno così
oOo, come mostrano alle perfette viste i perfetti
strumenti, dove manchi tal perfezzione apparisce così
non si distinguendo perfettamente la separazione e figura
delle tre stelle. Ma io, che mille volte in diversi tempi
con eccellente strumento l'ho riguardato, posso
assicurarla che in esso non si è scorta mutazione alcuna:
e la ragione stessa, fondata sopra l'esperienze che
aviamo di tutti gli altri movimenti delle stelle, ci può
render certi che parimente non vi sia per essere; perché,
quando in tali stelle fosse movimento alcuno simile a i
movimenti delle Medicee o di altre stelle, già doveriano
essersi separate o totalmente congiunte con la principale
stella di Saturno, quando anche il movimento loro fosse
mille volte più tardo di qualsivoglia altro di altra
stella che vadia vagando per lo cielo.
A quello che da Apelle vien posto per ultima
conclusione cioè che tali macchie siano più presto
stelle erranti che fisse, e che tra il Sole e Mercurio e
Venere ce ne siano assaissime, delle quali quelle sole ci
si manifestino che s'interpongono tra il Sole e noi;
dico, quanto alla prima parte, che non credo che le siano
né erranti né fisse né stelle, né meno che si muovino
intorno al Sole in cerchi separati e lontani da quello: e
se ad un amico padrone dovessi dir in confidenza
l'opinion mia, direi che le macchie solari si
producessero e dissolvessero intorno alla superficie del
Sole, e che a quella fossero contigue, e che il medesimo
Sole, rivolgendosi in sé stesso in un mese lunare in
circa, le portasse seco, e forse riconducendone tal volta
alcuna di loro di più lunga durazione che non è il
tempo d'una sua conversione, ma tanto mutate di figura e
di accompagnature, che non possiamo agevolmente
riconoscerle: e per quanto sin ora s'estende la mia
coniettura, ho grande speranza che V. S. abbia a vedere
questo negozio terminato in questo che gli ho accennato.
Che poi possa essere qualche altro pianeta tra il Sole e
Mercurio, il quale si vadia movendo intorno al Sole, ed a
noi resti invisibile per le sue piccole digressioni e
solo potesse farcisi sensibile quando passasse
linearmente sotto il disco solare, ciò non ha appresso
di me improbabilità alcuna, e parmi egualmente credibile
che non vene siano e che vene siano: ma non crederei già
gran moltitudine, perché se fossero in gran numero,
ragionevolmente spesso se ne doverebbe vedere alcuno
sotto il Sole, il che a me sin ora non è accaduto, né
vi ho veduto altro che di queste macchie; e non ha del
probabile che tra quelle possa esser passata alcuna sì
fatta stella, ben che questa ancora fosse per mostrarsi,
quant'all'aspetto, in forma d'una macchia nera. Non ha,
dico, del probabile, perché il movimento suo doverebbe
apparire uniforme, e velocissimo rispetto a quel delle
macchie: velocissimo, perché, movendosi in cerchio
minore di quello di Mercurio, è verisimile secondo
l'analogia de i movimenti di tutti gli altri pianeti, che
'l suo periodo fosse più breve, ed il suo moto più
veloce del moto del periodo di Mercurio; il qual Mercurio
nel passar sotto il Sole traversa il suo disco in 6 ore
in circa, tal che altro pianeta più veloce di moto non
gli doverebbe restar congiunto per più lungo spazio; se
già non si volesse far muovere in un cerchio così
piccolo, che quasi toccasse il corpo solare, il che par
che avesse poi troppo del chimerico; ma in cerchi pur che
fussero di diametro due o tre volte maggior del diametro
del Sole, seguirebbe quanto ho detto: ora le macchie
restano molti giorni congiunte col Sole: adunque tra
loro, o sotto loro spezie, non è credibile che passi
pianeta alcuno. Il quale, oltre alla velocità, doverebbe
ancora muoversi quasi uniformemente, sendo però per
qualche spazio notabile distante dal Sole: perché poca
parte del suo cerchio resterebbe sottoposta al Sole, e
quella poca, diretta e non obliquamente opposta a i raggi
dell'occhio nostro; per lo che parti eguali di lei
sarebbon vedute sotto angoli insensibilmente diseguali,
cioè quasi eguali, onde il moto in essa apparirebbe
uniforme: il che non accade nel moto delle macchie, le
quali velocemente trapassano le parti di mezzo, e quanto
più sono vicine alla circonferenza, tanto più
pigramente caminano. Poche, dunque, in numero possono
essere verisimilmente le stelle che tra il Sole e
Mercurio vadano vagando, e meno tra Mercurio e Venere:
perché, avendo queste necessariamente le lor massime
digressioni maggiori di quelle di Mercurio, doverebbono,
nella guisa di Venere e dell'istesso Mercurio, esser
visibili, come splendide, e massime sendo poco distanti
dal Sole e dalla Terra; sì che per la poca lontananza da
noi e per l'efficace illuminazione del Sole vicino si
farebbono vedere, mediante la vivezza del lume, quando
ben fossero piccolissime di mole.
Io conosco d'aver con gran lunghezza di parole e con
poca resoluzione soverchiamente tediato V. S.
Illustrissima. Riconosca nella lunghezza il gusto che ho
di parlar seco, ed il desiderio di obedirla e servirla,
pur che le forze me 'l permettessero; e per questi
rispetti perdoni la troppa loquacità, e gradisca la
prontezza dell'affetto: la irresoluzione resti scusata
per la novità e difficoltà della materia, nella quale i
vari pensieri e le diverse opinioni che per la fantasia
sin ora mi son passate, or trovandovi assenso or
repugnanza e contradizzione, m'hanno reso in guisa timido
e perplesso, che non ardisco quasi d'aprir bocca per
affermar cosa nessuna. Non per questo voglio disperarmi
ed abbandonar l'impresa, anzi voglio sperar che queste
novità mi abbino mirabilmente a servire per accordar
qualche canna di questo grand'organo discordato della
nostra filosofia; nel qual mi par veder molti organisti
affaticarsi in vano per ridurlo al perfetto temperamento,
e questo perché vanno lasciando e mantenendo discordate
tre o quattro delle canne principali, alle quali è
impossibile cosa che l'altre rispondino con perfetta
armonia.
Io desidero, come servitore di S. V., esser a parte
dell'amicizia che tien con Apelle, stimandolo io persona
di sublime ingegno ed amator del vero: però la supplico
a salutarlo caramente in mio nome, facendogl'intendere
che fra pochi giorni gli manderò alcune osservazioni e
disegni delle macchie solari d'assoluta giustezza, sì
nelle figure d'esse macchie come ne' siti di giorno in
giorno variati, senza error d'un minimo capello, fatte
con un modo esquisitissimo ritrovato da un mio discepolo,
le quali potranno essergli per avventura di giovamento
nel filosofare circa la loro essenza. È tempo di finir
di noiarla: però, baciandogli con ogni riverenza le
mani, nella sua buona grazia mi raccomando, e dal Signore
Dio gli prego somma felicità.
Dalla Villa delle Selve, li 4 di Maggio 1612.
Di V. S. Illustrissima
Devotissimo Servitore
Galileo Galilei L.

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