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Il significato è chiaramente qualcosa di ben più complesso di una semplice corrispondenza tra oggetti e termini che li indicano. Come abbiamo visto analizzando le varie concezioni di questo concetto, per essere compreso integralmente dobbiamo considerarne le sue diverse componenti. Dobbiamo così considerare oltre ad una componente "mentale", che è quella che viene normalmente presa in considerazione dalla scienza cognitiva classica e dall'Intelligenza Artificiale tradizionale, anche le componenti emotiva e fisica. E' evidente che questa distinzione la facciamo solo per comodità di studio e per precisare le differenze con la concezione che contestiamo e che, comunque, appare già superata nella pratica attuale. In realtà sottolineiamo ed insistiamo sul fatto che il significato è un esperienza globale e che è il caso piuttosto di vedere le cose in modo più complessivo, invece che andare ad analizzare ed a scomporre ulteriormente.
Riteniamo che sia illusorio ogni tentativo di ridurre la semantica a regole e meccanismi e soprattutto cercare di comprendere il linguaggio al di fuori della sua utilizzazione e del suo utilizzatore. Un sistema artificiale che sia in grado di comprendere il linguaggio e di utilizzarlo così come lo utilizziamo noi, deve agire nella realtà. Solo in questo modo può avere la possibilità di sviluppare dei propri significati fisici ed è solo su questi che si può innestare un significato culturale che non sia solo un'etichetta applicata ad un oggetto.
E' partendo dalla pragmatica che può svilupparsi una semantica e da questa anche la sintattica.
Quando è stato tentato il percorso inverso si sono commessi tre errori: quello di considerare gli oggetti reali come qualcosa di dato, di esistente come entità a se stanti; quello di considerare la semantica come la manipolazione di un sistema di simboli; quello di considerare il significato solo una corrispondenza tra questi oggetti (considerati come dati) e dei segni sulla cui complessità si è sorvolato.
Il primo errore è ormai messo in luce dalle attuali teorie sulla percezione che considerano il percetto come una costruzione culturale e individuale e non come qualcosa esistente di per se.
Nel secondo capitolo abbiamo mostrato come non si possa ridurre la semantica ad una manipolazione di simboli.
Il terzo errore (quello di assumere implicitamente un isomorfismo tra segno ed oggetto), lo abbiamo analizzato approfonditamente nel primo capitolo, ma siamo ritornati frequentemente su questo punto precisando come andrebbe inteso più adeguatamente il significato.
Nel terzo capitolo abbiamo mostrato come questa accezione riduttiva di significato complichi l'interpretazione dei dati sperimentali sulla comprensione del linguaggio e come, d'altro canto, ci siano studi da cui emerge un'accezione più ampia di esso.
Questa nuova accezione trae la sua forza soprattutto dalla possibilità di realizzare concretamente sistemi che diano significato alla realtà che sperimentano. Abbiamo quindi parlato delle reti neurali e della vita artificiale perché è all'interno di questi campi che abbiamo realizzato un sistema di questo tipo e perché è grazie ad esse che abbiamo avuto gli strumenti concettuali per chiarire come, questa necessità di correggere la nostra concezione di significato, non era solo un bisogno "filosofico", ma molto "concreta".
Il nostro sistema, di cui abbiamo osservato a lungo l'evolversi sia filogenetico che ontogenetico, da' un significato fisico ed emotivo a ciò che gli accade e riesce a migliorare il suo modo di agire, proprio perché è in grado di dare significato in questo modo.
Il significato è dato quindi complessivamente da questi aspetti che distinguiamo solo per chiarezza. Soprattutto il significato quale è inteso normalmente non potrebbe esistere senza le sue componenti emotiva e fisica. Mentre è possibile che diamo significato solo fisicamente e emotivamente, o solo fisicamente. C'è quindi una gerarchia in cui il maggiore comprende il minore.
Quando si parla di significato non si può sorvolare sul suo aspetto fisico, sul suo essere incarnato. L'aspetto fisico del significato, è dato da ciò che fisicamente provoca in chi percepisce il contatto con un oggetto, ciò prima ancora che esso venga categorizzato e quindi pienamente percepito "mentalmente". Queste modifiche, provocate dal semplice contatto con l'oggetto, comprendono anche una preparazione alla risposta ed in alcuni casi anche una risposta, che può essere un semplice aggiustamento dei recettori, o qualcosa di molto più complesso, come un allontanamento da qualcosa percepito come pericolo immediato.
Concezione del significato simili a questa sono state proposte, come abbiamo visto, in ambito filosofico da Merleau-Ponty (1942), nel campo della scienza cognitiva da Varela, Thompson & Rosch (1991) ed in fisica da Haken (1988).
Merleau-Ponty insiste proprio sull'aspetto fisico del significato, sul suo essere incarnato, sulla sua dipendenza dal corpo e cercava in questo modo di superare quella dicotomia tra livello dei significati e livello fisico. Merleau-Ponty considera come è solo col linguaggio, artificiosamente, che noi stabiliamo questa differenziazione, ma in verità abbiamo contatto solo con significati, possiamo parlare di qualcosa, possiamo percepirla solo se le abbiamo dato significato. Insiste sulla fisicità dell'attribuzione del significato, facendo notare come muti il nostro modo di significare, a seconda delle nostre condizioni fisiche e sottolineando la differenza tra un corpo considerato solo come oggetto e un corpo vissuto (leib). In quest'ultima concezione, è implicita una visione di esso come apertura verso l'esterno, come modalità di approccio, invece che strumento "attraverso cui" percepiamo; parimenti, in questa concezione, il significato è il modo in cui ci si rapporta con il significante.
Questa concezione viene ripresa da Varela, Thompson & Rosch (1991) i quali sottolineano le difficoltà portate dal concetto di rappresentazione. Queste potrebbero essere superate se, invece di immaginare che qualcosa di "esterno" debba essere riprodotto, rappresentato in un "interno", riconoscessimo l'aspetto fisico della significazione, il suo essere costituito dal rapportarsi con il significante. Gli Autori sottolineano anche come questo concetto emerga già naturalmente da una certa parte del connessionismo e come esso sia il naturale sviluppo delle scienze cognitive attuali.
Haken, che si occupa di auto-organizzazione di sistemi complessi, presenta una concezione simile, proponendo anche di passare da una teoria dell'informazione che tiene fuori il significato, ad una che ne faccia invece il suo fulcro. Secondo Haken, non si può parlare di significato, se non basandosi su una risposta di chi dà significato: finché non c'è risposta, o anche se non c'è proprio risposta, non c'è significato. Qui insomma è accentuato ulteriormente l'aspetto fisico dell'attribuzione di senso. Il significato è dato proprio dalla risposta del sistema, se esso dà la stessa risposta a due messaggi diversi, ha attribuito lo stesso significato ai due messaggi.
Quì sottolineiamo anche le componenti ulteriori che possono inserirsi su quella fisica, inoltre consideriamo risposta anche aspetti non visibili della risposta, quali impercettibili aggiustamenti e adattamenti, attivazione di processi mentali, accompagnati anch'essi, comunque, da modificazioni fisiche.
In ogni caso cerchiamo di superare la dicotomia cartesiana tra fisico e mentale riprodotta dall'Intelligenza Artificiale tradizionale ed ora, di fatto, superata dal connessionismo.
Come le difficoltà incontrate dall'approccio classico all'intelligenza artificiale nei confronti del significato hanno mostrato i limiti di quella concezione dello stesso, così ora, una conferma della validità della concezione alternativa, potrebbe venire proprio dalla sua efficacia pratica.
Anche i modelli del processo di lettura e comprensione, pur trovandosi complessivamente in accordo sulle linee generali, trovano delle difficoltà nell'immaginare il modo in cui avviene il recupero del significato delle parole. Si trovano, infatti, prove che contrastano sia con l'ipotesi che il recupero avvenga prima ancora di aver risolto le ambiguità del contesto, sia con quella che ipotizza che si abbia un recupero del significato solo quando l'ambiguità è risolta. Alla base di questi modelli vi è sempre l'idea del significato come rappresentazione, come qualcosa che possa essere immagazzinata e recuperata. Mentre, non vedendo il significato come rappresentazione, è evidente come si modifichi il relazionarsi, innanzitutto fisico e poi emotivo e mentale, con l'oggetto di cui si legge, a mano a mano che si procede con la lettura e come questa possa essere vista proprio come un susseguirsi di modalità di relazione diverse e quindi un continuo modificasi di significati.
Abbiamo visto come vi sono studi che hanno sottolineato la dipendenza del nostro modo di percepire e di comprendere dalla conformazione del nostro sistema percettivo e, più genericamente, dal nostro modo di rapportarci con il percetto, di come insomma la comprensione passi per il corpo (Clark, 1971; Clark, Carpenter & Just, 1973).
Abbiamo mostrato anche come la concezione simbolica sia inadeguata anche perché sottintende una visione del pensiero umano come manipolazione di simboli. Concezione che contrasta con molte considerazioni (inconciliabilità della dicotomia corpo mente, teorema di Gödel).
La concezione che proponiamo interpreta invece naturalmente il pensiero come frutto di contributi provenienti da ogni parte dell'organismo, così come appare sempre più chiaramente.
Le reti neurali sono una realizzazione concreta di questa concezione, infatti esse modificano, ad ogni istante, il loro stato in dipendenza dello stato di tutti i neuroni della rete. Esse non funzionano facendo inferenze o manipolando simboli, ma modificando le connessioni, parte di se stesse, preparandosi quindi a rispondere in futuro in maniera diversa. Sono quindi anche il terreno di prova più naturale per questa diversa concezione del significato.
Abbiamo progettato un automa, costituito da due reti neurali, che fosse in grado di apprendere il modo migliore di agire in un ambiente artificiale basando il proprio movimento sul significato fisico ed emotivo attribuito alle situazioni che incontrava.
Postulato che ad ogni situazione, provocando comunque una modificazione nella rete (ed una risposta), viene attribuito automaticamente un significato fisico, abbiamo fatto in modo che fosse in grado di affinare il modo in cui lo faceva e il modo in cui rispondeva. Una seconda rete valutava anche in termini di buono/cattivo, che abbiamo considerato una forma primordiale di significato emotivo.
Abbiamo provato varie modifiche dell'automa, per trovare modi più efficaci di accoppiare la sua percezione alla risposta motoria più conveniente. In ogni modo il suo comportamento non può essere ridotto ad un semplice apprendimento di risposte efficaci, essendo, nonostante la situazione relativamente semplice, altissimo il numero di possibili situazioni e di risposte motorie da accoppiare. Il suo comportamento può essere descritto più efficacemente, proprio come un progressivo affinamento della sua capacità di dare significato alle situazioni e di rispondere ad esse in modo opportuno.
Tutte le versioni dell'automa hanno appreso in misura maggiore o minore modi più efficienti di muoversi in quell'ambiente e la nostra sperimentazione si è limitata alla selezione ed implementazione di ciò che potesse essere più importante per migliorare la sua capacità di apprendere e quindi di attribuire significati opportuni.
Sono evidenti i limiti di tale automa dovuti sia al fatto che è una simulazione al computer, invece di una realizzazione concreta, sia al fatto che devono essere trovati meccanismi di modifica delle connessioni più efficienti di quelli attuali, sia ancora allo scarso numero di neuroni che siamo stati costretti a fornire all'automa per ragioni pratiche. Nonostante ciò le sue prestazioni dimostrano l'applicabilità di questa concezione e la sua efficacia pratica.
Per quanto riguarda la progettazione di automi capaci di comprendere il nostro linguaggio (e quindi di confrontarsi con i nostri significati), anche in base alla piccola esperienza che abbiamo fatto, possiamo dire che è necessario arrivare a progettare automi che agiscano concretamente nella realtà e solo partendo da questa conoscenza pragmatica, metterli in contatto con un universo di segni condiviso.
Il significato mentale è di natura convenzionale, ma il rapporto tra queste convenzioni e la realtà emotiva e fisica di chi condivide queste convenzioni deve essere creato appunto da chi le utilizza. E' questo l'anello mancante quando ci si scontra con la dicotomia tra realtà simbolica e realtà fisica. Si dà per scontata una corrispondenza tra significante e significato, quando invece questa corrispondenza nasce da un rapporto molto complesso tra chi percepisce e queste due entità convenzionali. Ogni organismo si rapporta in un modo diverso con l'ambiente, un modo che è dato soprattutto dalla sua realtà fisica. Quando degli organismi comunicano utilizzano un sistema di segni che hanno un significato comune condiviso pur riferendosi ad una realtà che è diversa per ognuno (perché percepita in modo diverso, da una prospettiva diversa, in momenti diversi). Gli individui che condividono un linguaggio sono quindi, in un certo senso, l'anello di congiunzione tra le realtà diverse di ognuno e questo sistema di segni. Il linguaggio ha un significato solo per chi lo apprende modificando se stesso, in modo da renderlo rappresentativo del proprio rapporto con la realtà. Un organismo artificiale per essere in grado di comprendere realmente il nostro linguaggio, dovrebbe apprenderlo allo stesso modo: sviluppare un proprio rapporto con la realtà, manipolandola e modificandosi in conseguenza dei suoi scopi e dell'effetto delle sue azioni, condividere il linguaggio con altri esseri che ne fanno uso, modificando l'uso che ne fa in conseguenza degli effetti delle proprie azioni (comprese le azioni consistenti nella produzione del linguaggio 1). L'uso del linguaggio è un comportamento, un'attività "concreta", che come tale va appresa "agendo", facendo uso del linguaggio come di altri strumenti ed è un'attività culturale e come tale va appresa nell'ambito di una cultura, interagendo con altri individui che fanno uso di questo strumento. Un segno ha significato se si riferisce ad un'esperienza concreta di chi ne fa uso, un'esperienza con quel segno, con le sue funzioni ed un'esperienza con ciò che quel segno denota, quando viene usato da solo, o combinato con altri segni.
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