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Uno dei primi problemi che si pone agli scienziati della mente (in particolare a quelli che credono nel dualismo mente-corpo) e' quello di definire in maniera chiara e precisa cosa sia la mente.
Secondo Descartes una sostanza deve essere definita tramite quella proprieta' tale che, se la sostanza perdesse quella proprieta', non sarebbe piu' la stessa sostanza. Per gli oggetti fisici, per esempio, la proprieta' che li definisce e' l'estensione nello spazio (in altre parole gli oggetti fisici "occupano posto"). Per gli oggetti mentali Descartes non trovo' una proprieta' altrettanto intuitiva, e fece ricorso al concetto generale di "pensiero", che e' quasi una tautologia, o quantomeno si limita a spostare il problema alla definizione di cosa sia il "pensiero".
L'intenzionalita' si presta invece bene a tale fabbisogno in quanto, oltre a essere ben definibile, e' una proprieta' che sembra esclusiva della mente umana, che non sembra trovarsi in altre sostanze della natura. Per "intenzionalita'" i filosofi intendono la proprieta' che uno stato faccia riferimento a un altro stato: lo stato di un oggetto non fa, generalmente, riferimento a null'altro che al fatto che quell'oggetto si trovi in quello stato. Viceversa la mente umana si puo' permettere il lusso di trovarsi in uno stato che fa riferimento a un altro stato: posso "credere" che questo libro sia ben scritto, posso "sperare" che molti lettori lo compreranno, posso "temere" che molti filosofi lo stroncheranno, e cosi' via. Questi sono tutti stati mentali che fanno riferimento ad altro (al mio libro, ai lettori, ai filosofi e cosi' via).
Secondo Brentano gli stati mentali contengono un oggetto in maniera "intenzionale" (cioe' nel senso che vi fanno riferimento), ed e' proprio l'intenzionalita' a distinguere uno stato mentale da uno stato fisico. Ma gli stati intenzionali possono far riferimento a oggetti che non esistono: i bambini nati prima del Sessantotto credevano a Babbo Natale, gli appassionati di oroscopi temono tuttora gli ascendenti planetari e qualche ottimista spera forse che esistano dei politici non corrotti. Secondo Brentano ai fini dell'intenzionalita' Babbo Natale e gli ascendenti planetari sono egualmente oggetti, in quanto si possono percepire mentalmente. Secondo Meinong, invece, gli oggetti inesistenti, come Babbo Natale, gli ascendenti planetari e i politici non corrotti, sono comunque dotati di "sussistenza", se non di "esistenza", e l'affermazione di Brentano va pertanto riferita alla sussistenza degli oggetti. Se non che' in tal modo non e' piu' possibile distinguere uno stato mentale relativo a un oggetto reale da uno stato mentale relativo a un oggetto inesistente, e tutto cio' che capita nella mente sarebbe relativo alla "sussistenza" o (in termini di Frege) al "senso" delle cose, e non alle cose stesse.
Per Brentano l'intenzionalita' non e' soltanto cio' che separa il mondo fisico da quello mentale: e' anche cio' che impedisce lo sviluppo di una scienza dei fenomeni mentali. Non solo la mente e' distinta dal corpo, ma non puo' neppure essere studiata con gli abituali strumenti della scienza. .NH Il linguaggio intenzionale
Esistono delle alternative al criterio di Brentano/Moening.
Gli stati mentali violano due leggi fondamentali della logica simbolica: quella di composizionalita' (che la verita' di un'affermazione composta sia funzione della verita' delle sue componenti) e quella di Leibniz (che la verita' o falsita' di una frase non cambi se si sostituisce un termine con un altro termine che si riferisce allo stesso oggetto).
Per esempio, la verita' di una frase del tipo "Cinzia crede che Giusi abbia trent'anni" non dipende dal fatto che Giusi abbia veramente trent'anni; e la frase "Cinzia crede che la moglie di Vincenzo abbia trent'anni" potrebbe non essere vera, benche' Giusi e "la moglie di Vincenzo" si riferiscano alla stessa persona.
Per trattare le frasi "intenzionali" relative agli stati mentali dobbiamo cioe' usare un linguaggio che esibisce delle proprieta' particolari, un linguaggio che possiamo chiamare "intenzionale". Notando questo fatto, Chisholm propose di identificare il tipo di stato con il tipo di linguaggio: quando studiamo stati fisici, usiamo un linguaggio privo di frasi intenzionali; quando studiamo stati mentali, usiamo un linguaggio con frasi intenzionali. Tanto Chisholm quanto Anscombe (che identifica il linguaggio intenzionale con le sue caratteristiche grammaticali) si limitano ad analizzare l'aspetto linguistico dell'intenzionalita', invece che addentrarsi nelle differenze ontologiche fra oggetti intenzionali e non.
Il criterio linguistico di Chisholm/Anscombe non funziona pero' con le frasi "modali" (che non sono intenzionali, ma egualmente violano la legge di Leibniz) e con altri tipi di frasi.
Un criterio
per riconoscere l'intenzionalita' che non presenta questo inconveniente
e' quello delle "attitudini proposizionali" di Russell, ovvero delle
frasi che hanno la forma:
Le frasi relative a stati mentali possono sempre essere ricondotte a una "attitudine proposizionale": "Vincenzo spera che Giusi ottenga una promozione", "Dario crede che Cinzia sia al lavoro", "Chiara ha paura che Cinzia la sgridi", e cosi' via.
Separando la proposizione dall'attitudine si ottiene che uno stesso soggetto puo' avere la stessa attitudine nei riguardi di due diverse proposizioni oppure attitudini diverse riguardo la stessa proposizione ("Dario spera che Cinzia sia al lavoro", ma "Dario teme che Cinzia sia a casa ammalata"). La proposizione, per inciso, non e' altro che il contenuto dello stato mentale del soggetto.
Anche Searle ha esaminato gli aspetti linguistici dell'intenzionalita', ma dal punto di vista dei rapporti fra stati mentali e stati linguistici. In altre parole ha tentato di unificare l'intenzionalita' con la sua teoria degli atti di parlato. In alcuni casi esiste infatti una relazione causale fra lo stato mentale e il mondo, e questa relazione causale e' data dall'atto di parlato (per esempio, un comando e' la relazione tramite cui uno stato mentale causa una struttura del mondo) o da una percezione (una percezione e' la relazione tramite cui il mondo causa uno stato mentale). Searle ritiene comunque che il linguaggio non possieda vera intenzionalita', ma la erediti dagli stati mentali sottostanti.
Piu' in generale, le attitudini proposizionali hanno una prerogativa che non va trascurata: come tutto in natura, servono a qualcosa. Per l'esattezza esse governano il nostro comportamento e il comportamento che esse governano risulta essere estremamente appropriato per l'occasione in gran parte dei casi. Pertanto occorre anche spiegare come gli stimoli esterni modifichino le nostre attitudini proposizionali e come tali attitudini influiscano poi sul nostro comportamento. .NH La teoria computazionale della mente
Anche Sellars pensa che gli stati intenzionali siano stati fisici, ma, a differenza di Brentano, pensa anche che gli stati fisici siano dotati di proprieta' semantiche, e che queste proprieta' semantiche siano simili a quelle di cui sono dotati i termini linguistici: un individuo pensa P se esiste uno stato del suo cervello che porta il contenuto semantico di P (nello stesso modo in cui una frase in inglese o in italiano esprime P). In altre parole Sellars trova un'analogia fra i ruoli "funzionali" che gli stati fisici del cervello giocano nel comportamento dell'individuo e i ruoli "inferenziali" che i corrispondenti termini linguistici giocano nelle inferenze del linguaggio; e postula poi che la semantica dell'intenzionalita' sia in qualche relazione con quella del linguaggio. La teoria di Sellars non risolve pero' il dilemma della cosiddetta "psicosemantica": come fa uno stato fisico a far riferimento a P? Come fa a far riferimento a Vincenzo? E come fa a far riferimento al figlio di Vincenzo, che non esiste neppure?
Sembrerebbe intuitivo ritenere che esistano tre entita' legate al modo in cui la mente fa riferimento al mondo: i concetti, gli oggetti, i segni; e che fra di loro esistano le seguenti relazioni: un concetto della mente (ovvero una rappresentazione mentale) fa riferimento a qualcosa che si trova nel mondo; al tempo stesso quando viene associato a un segno, diventa il significato di quel segno. Il concetto e' pertanto cio' che mette in relazione un segno e un oggetto. Per esempio, quando capisco le parole (il segno) "Vincenzo Tamburrano", associo quelle parole al concetto (alla rappresentazione mentale) del mio amico Vincenzo, e questo concetto determina che mi sto riferendo a Vincenzo Tamburrano.
Questa linea di pensiero (aristotelica) postula in realta' che: 1. ogni parola sia associata con una rappresentazione mentale; 2. due parole abbiano lo stesso significato se e solo se sono associate alla stessa rappresentazione mentale; 3. la rappresentazione mentale determini a quale oggetto la parola si riferisce.
Il postulato piu' debole e' il terzo: per Putnam, per esempio, non puo' essere la sua rappresentazione mentale di un olmo ad associare la parola "olmo" all'albero olmo in quanto lui non sa distinguere un olmo da un faggio. Non solo (Frege) l'identita' di referente non implica necessariamente l'identita' di significato (vedi l'esempio della stella del mattino e la stella della sera, che sono entrambe Venere ma hanno due significati diversi); addirittura (Putnam) la differenza di referenza e' compatibile con l'identita' di significato (vedi l'esempio delle terre gemelle in cui l'acqua e' due sostanze diverse, benche' io e il mio gemello abbiamo in mente la stessa cosa quando usiamo la parola "acqua").
Fodor risolve il problema eliminando proprio questo terzo postulato.
La teoria computazionale della mente di Fodor assume che la mente possa essere assimilata a un calcolatore capace di immagazzinare ed elaborare simboli. Il paradigma delle attitudini proposizionali puo' allora essere realizzato immaginando che una memoria di simboli sia assegnata a ogni possibile attitudine ("speranza", "desiderio", "timore", etc) e che ogni simbolo corrisponda a una delle possibili proposizioni: una particolare proposizione incasellata in una particolare attitudine costituisce allora una ben precisa attitudine proposizionale. Ogni simbolo e' una "rappresentazione mentale" e la mente e' dotata di un insieme di regole per operare sulle rappresentazioni. La vita cognitiva, il pensiero, e' la trasformazione di queste rappresentazioni.
Tali rappresentazioni mentali costituiscono un "linguaggio della mente", che Fodor battezza "mentalese". Che esista un linguaggio interno alla mente Fodor lo deduce da tre fenomeni: il comportamento razionale (la capacita', cioe', di calcolare le conseguenze di un'azione), l'apprendimento di concetti (la capacita' di formare e verificare un'ipotesi) e la percezione (la capacita' di riconoscere un oggetto o un evento). Tutti questi fenomeni non sarebbero possibili se l'agente non potesse rappresentare a se stesso gli elementi del problema. Che questo linguaggio non possa essere una delle lingue a cui siamo abituati e' dimostrato a sua volta da due fatti: primo, anche altri animali, incapaci di parlare, esibiscono facolta' cognitive simili alle nostre; lo stesso atto di imparare a parlare una lingua richiede l'esistenza di un linguaggio interno di rappresentazione.
Nello schema di Fodor la mente manipola simboli senza sapere cosa quei simboli rappresentino (ovvero in maniera puramente sintattica: la rappresentazione non determina se e a quale oggetto ci si riferisca). Il comportamento e' dovuto esclusivamente alle strutture interne della mente, non a cio' che quelle strutture rappresentano.
La teoria computazionale di Fodor rende facilmente conto delle anomalie logiche del linguaggio intenzionale, le quali non risultano infatti per nulla anomale: le sostituzioni alla Leibniz, per esempio, sono consentite non appena la co-referenzialita' (fra "Giusi" e "la moglie di Vincenzo") viene rappresentata nella mente, non prima, e la regola di sostituzione puo' operare e opera soltanto da quel momento, non prima. E' una proprieta' delle macchine simboliche quella di poter operare su una struttura soltanto quando tale struttura e' stata rappresentata nel linguaggio della macchina e la macchina possiede almeno una regola in grado di operare su quella struttura. Tutti gli apparenti paradossi dell'intenzionalita' vengono risolti dal fatto stesso di aver assimilato la mente a un calcolatore simbolico.
Al tempo stesso la teoria computazionale spiega in maniera semplice ed elegante come le attitudini proposizionali abbiano origine nella nostra mente (sono le rappresentazioni che la mente produce del mondo) e come esse influiscano sul nostro comportamento (il comportamento e' il risultato di un calcolo eseguito proprio su quelle rappresentazioni). Fra tutti i tipi di calcolo possibili, l'inferenza logica sarebbe stata prescelta dalla natura in quanto la migliore per generare un comportamento che ci consenta di sopravvivere.
La teoria di Fodor e' un'estensione delle idee di Chomsky: se le frasi che un individuo e' in grado di produrre (la sua "competenza") sono infinitamente superiori alle frasi che quell'individuo pronuncera' durante la sua esistenza (la sua "performance"), vuol dire che esiste una struttura portante del linguaggio grazie alla quale si e' in grado di parlare e capire qualunque frase. Questa struttura e' una "grammatica universale" comune a tutti: ciascuno, poi, impara una delle sintassi di superficie disponibili (italiano, inglese, spagnolo, etc).
Non diversamente, Marr sostiene che l'apparato visivo faccia uso di informazioni innate per decifrare i segnali di luce che percepiamo dal mondo; altrimenti quei segnali sono talmente ambigui che non potremmo mai inferire com'e' fatto il mondo. Secondo Marr l'elaborazione dei dati percettivi avviene grazie ad appositi "moduli", ciascuno specializzato in qualche funzione, che sono controllati da un modulo centrale.
Secondo Chomsky, Marr e Fodor, pertanto, il cervello contiene rappresentazioni semantiche (in particolare una grammatica) che sono innate e universali (ovvero di natura biologica, sotto forma di "moduli" che si attivano automaticamente) e tutti i concetti sono decomponibili in tali rappresentazioni semantiche. L'elaborazione di tali rappresentazioni semantiche e' puramente sintattica.
Shepard ritiene che le specie sopravissute alla selezione naturale abbiano sviluppato strutture innate per operare nel proprio ambiente, in maniera tale che per il singolo individuo non sia piu' necessario impararle. Tali strutture innate non contengono informazioni circa le caratteristiche degli oggetti (forma, colore, dimensione, etc), ma circa la struttura di quelle caratteristiche. Per esempio, lo spazio psicologico dei colori e' tri-dimensionale (tinta, luminosita', saturazione) ed euclideo. Gli spazi psicologici riflettono l'adattamento evolutivo al nostro ambiente.
Neppure Fodor, pero', riesce a risolvere il problema cosiddetto "della psicosemantica": se le attitudini proposizionali dipendono da fattori ambientali, cosa sono questi fattori ambientali?
L'estremista degli approcci sintattici e' Stitch, secondo il quale entrano in gioco quattro entita': stati cognitivi di tipo D (desideri), stati cognitivi di tipo B (convinzioni), stimoli ed eventi comportamentali (azioni). Gli stati cognitivi corrispondono ad oggetti sintattici in modo tale che le relazioni causali fra i primi, o fra i primi e gli stimoli e le azioni, corrispondono a relazioni sintattiche dei corrispondenti oggetti sintattici. In questo contesto il principio di autonomia di Stitch afferma che: le differenze fra organismi (per esempio quelle dovute a fattori ambientali) che non siano riconducibili a differenze dei loro stati interni non sono pertinenti per una teoria psicologica; ovvero gli unici fattori ambientali che devono essere presi in considerazione sono quelli che provocano differenze negli stati interni.
Diversi filosofi sostengono invece che il modello del calcolatore simbolico e' implausibile dal punto di vista biologico. Dennett, per esempio, fa notare che il cervello dovrebbe contenere un numero infinito di strutture per rappresentare tutte le nostre convinzioni, comprese quelle che non abbiamo mai usato ma che nondimeno crediamo; per esempio, che "le zebre non portano impermeabili". (Ma forse Dennett trascurava il fatto che un calcolatore simbolico e' dotato di regole di inferenza e, come qualsiasi sistema formale, puo' dedurre nuove convinzioni da quelle note, e che pertanto potrebbe bastare un numero molto limitato di convenzioni-assiomi per rendere conto di un numero molto grande di convinzioni).
Searle sostiene che, se anche fosse plausibile, il modello puramente sintattico di Fodor non sarebbe in grado di risolvere le numerose ambiguita' del linguaggio naturale (sintatticamente identiche, semanticamente diverse).
La teoria computazionale della mente fu comunque la prima a rendere conto del processo attraverso il quale la mente riesce a far riferimento al mondo esterno. Non spiega pero' altri tre fenomeni fondamentali: come tali rappresentazioni siano connesse con il mondo; attraverso quale processo vengano costruite dalla mente; e quale sia la struttura del lingaggio del pensiero (in particolare, e' la stessa per tutti noi? o ogni mente ha la sua?)
I Churchland, in particolare, ritengono che una teoria computazionale della mente dovrebbe essere riducibile a una teoria della struttura del cervello, che i simboli del "mentalese" di Fodor dovrebbero essere in qualche modo in relazione con i neuroni, che le leggi astratte postulate per i processi cognitivi dovrebbero essere spiegate in termini di leggi fisiche per i processi neurali. Finche' manchera' una teoria unificata della cognizione e della neurobiologia, la teoria computazionale della mente non potra' essere considerata una teoria. .NH L'elaborazione parallela distribuita
L'elaborazione parallela distribuita (o, piu' semplicemente, il connessionismo) propone un'alternativa non simbolica (non rappresentazionale) alla teoria computazionale, prendendo a modello le reti neurali del cervello.
Cio' che viene rappresentato non ha una relazione intuitiva con le convinzioni o percezioni. Si tratta invece di una rete di nodi, ciascuno dei quali comunica con altri tramite connessioni la cui forza e' variabile nel tempo; questa forza, che varia in funzione proprio dell'attivita' dei nodi, e' il fattore principale di rappresentazione. E' come se i nodi si scambiassero simultaneamente una grande quantita' di messaggi: la rappresentazione e' data dall'insieme di questi messaggi (e non dal contenuto dei nodi). Quando la rete viene attivata a fronte di uno stimolo, le connessioni cambiano la propria forza fino a raggiungere una configurazione stabile che costituisce la risposta a quello stimolo. Cosi', per esempio, tutte le immagini di Vincenzo (di profilo, di fronte, con la barba, senza la barba, con gli occhiali, senza gli occhiali, etc) causano una propagazione di messaggi all'interno della rete finche' questa converge a una configurazione che e' proprio quella della rappresentazione di "Vincenzo".
Non solo il connessionismo rende conto, come la teoria computazionale, del processo attraverso il quale la mente riesce a far riferimento al mondo esterno, non solo (a differenza della teoria di Fodor) e' biologicamente plausibile, ma fornisce anche una spiegazione di come le rappresentazioni mentali vengano costruite (per fluttuazione di forze di connessioni) e di come esse siano connesse con il mondo (attraverso associazioni del tipo stimolo-risposta); e non ha bisogno di postulare alcun linguaggio mentale.
Un ulteriore passo avanti e' la "macchina di Darwin" introdotta da Calvin, che e' capace di generare una coordinazione adattativa fra l'organismo e il mondo esterno attraverso una selezione di popolazioni di neuroni per riconoscere certi fatti del mondo esterno e compiere azioni corrispondenti. .NH L'eliminativismo
Il connessionismo e' gradito anche agli "eliminativisti", che si oppongono all'uso di termini mentali in un contesto scientifico. Fu Feyerabend il primo ad affermare che ogni discorso relativo ad eventi mentali e' fuorviante per il fatto stesso che il linguaggio li ammette. E usare questo linguaggio di termini mentali e' tanto scientifico quanto lo era il linguaggio di streghe e demoni nel medioevo. Secondo Rorty man mano che la scienza progredisce si rende necessario abbandonare un vocabolario e adottarne uno nuovo per descrivere gli stessi fenomeni, e non c'e' ragione per cui cio' non debba valere anche per i fenomeni mentali.
Riassumendo questi punti di vista, Churchland dimostra prima che la cosiddetta "psicologia folk", o del senso comune (secondo cui siamo agenti "intenzionali", le cui azioni sono guidate da desideri e convinzioni), e' una teoria empirica, esattamente come qualsiasi teoria scientifica; l'unica differenza e' che, laddove altre teorie hanno attitudini "numeriche", la psicologia folk ha attitudini proposizionali. Detto cio', Churchland dimostra che questa teoria e' incompleta (non spiega i sogni, i pazzi e tante altre anomalie mentali), e' il sottoinsieme di una teoria che e' gia' stata confutata (un tempo si riteneva che anche gli dei avessero convinzioni e desideri, poi la scienza ha spiegato che il tuono non era dovuto all'ira di Giove) ed e' difficile da integrare con le altre teorie scientifiche (e' l'unica eccezione alla progressiva sintesi che e' in atto dalla Biologia alla Fisica). Nella storia dell'umanita' tutte le teorie (come l'alchimia) che hanno dato risultati cosi' scadenti sono state abbandonate, anche se, viste in un'ottica "funzionale", potevano essere credibili (esattamente come il funzionalismo lo puo' essere). Anche Churchland ritiene, in definitiva, che il linguaggio e l'ontologia della psicologia folk siano destinati a scomparire con l'avvento di una teoria piu' scientifica, e che termini come "convizione" e "desiderio" saranno un giorno tanto obsoleti quanto lo sono oggi i quattro "spiriti" dell'alchimia. .NH L'interpretativismo
Analogamente Rosenberg ritiene che le anomalie logiche del linguaggio intenzionale costituiscano una buona ragione per estromettere i fenomeni intenzionali dalla scienza. E Quine, forte della sua teoria dell'indeterminatezza, concorda, negando che esistano stati mentali intenzionali. Entrambi propendono per un'analisi completamente behavioristica del comportamento umano.
La teoria dell'indeterminatezza di Quine ha come conseguenza che, in particolare, non e' possibile tradurre il linguaggio dei significati nel linguaggio delle scienze fisiche. Questa non e' altro che una variante della tesi di "irriducibilita'" di Brentano, che gli stati mentali non siano riducibili a stati fisici. Ma Quine ne trae una conclusione diversa: una scienza dell'intenzionalita' non ha senso, il linguaggio dell'intenzionalita' e' una mera comodita' pratica.
Coerentemente con il nichilismo di Quine, il secondo Putnam pone la spiegazione e la predizione di fenomeni intenzionali come la convinzione e il desiderio nella sfera dell'interpretazione: i concetti non esistono nella mente, sono frutto dell'interpretazione. Si tratta di "interpretare" quel linguaggio, e lo si puo' fare da due angolature: normativa, che fa ricorso al principio di carita' (Davidson) o di razionalita' (Dennett), secondo i quali un organismo si comporta come deve comportarsi date le sue circostanze (per esempio, la maggioranza delle sue convinzioni sono vere; crede alle implicazioni delle proprie convinzioni; non ha due convinzioni che si contraddicono; etc) e in tal modo aiuta il compito di chi deve interpretare; e proiettiva (Stitch), secondo la quale la nostra interpretazione consiste nell'attribuire all'organismo le attitudini proposizionali che noi avremmo se fossimo al suo posto.
La situazione non e' cosi' diversa da quella della Fisica. Fra la Fisica del senso comune (o folk) e la Fisica accademica esiste ormai un abisso: molte delle intuizioni della prima (per esempio, che il Sole giri attorno alla Terra e sia la piu' grande di tutte le stelle) sono considerate delle grossolane approssimazioni della realta' o addirittura delle pure illusioni ottiche. Anche la Psicologia ha la sua versione folk e la sua versione piu' accademica: il linguaggio intenzionale, secondo Quine, esprime la Psicologia del senso comune, e non e' piu' attendibile della Fisica del senso comune. Il problema e' se lo stesso metodo "scientifico" che utilizziamo per descrivere e prevedere il mondo esterno alla mente possa essere utilizzato anche per descrivere e prevedere il mondo interno alla mente: riconciliare l'oggettivo e il soggettivo potrebbe essere un paradosso, come sostiene Nagel. .NH I sistemi intenzionali
Oltre alla mente umana esistono in realta' altri oggetti che fanno riferimento ad altro, e cioe' gli strumenti di misura: il termometro, che fa riferimento alla temperatura dell'ambiente, il tachimetro, che fa riferimento alla velocita' dell'auto, la spia della benzina, o persino l'allarme anti-incendio e l'anti-furto; e, naturalmente, il computer, l'unico a poter rivaleggiare con la mente umana. Dretske ha cosi' definito l'intenzionalita': "Ogni sistema fisico i cui stati interni dipendono ... dal valore di una grandezza esterna ... e' un sistema intenzionale".
Dretske ha ripreso dalla teoria dell'informazione di Shannon e Weaver l'idea che uno stato trasporta informazione su un altro stato nella misura in cui dipende (secondo una qualche legge) da quello stato. In questo modo la proprieta' di intenzionalita' viene ricondotta alla relazione di causa ed effetto: ogni effetto si riferisce alla sua causa.
L'intenzionalita' potrebbe dimostrare la superiorita' e l'unicita' della mente umana, se solo si riuscisse a scoprire la differenza fra l'intenzionalita' della mente e l'intenzionalita' degli altri sistemi intenzionali. Se il fatto di avere un contenuto non e' unico degli stati mentali, lo e' il fatto di avere certi contenuti piuttosto che altri. Inevitabilmente Dretske finisce per discriminare nei confronti dell'informazione analogica: nel passaggio dai sensori percettivi alla rappresentazione cognitiva (dal "vedere" Vincenzo al "capire" che si tratta di Vincenzo) si compie una progressiva transizione dell'informazione da analogica a digitale tale per cui i dati analogici (dimensioni, colore, distanza, angolatura, etc) vengono poco a poco perduti per costruire il dato, unico ed estremamente complesso (che Dretske chiama "digitale", forse per scarsa familiarita' con il mondo informatico) di cosa sia quell'oggetto (il dato di essere Vincenzo). Cio' che rende unica l'intenzionalita' della mente umana e' questa capacita' di trasformare il dato analogico in un dato digitale.
Se un termometro potesse obiettare a Dretske, sarebbe forse tentato di sostenere che i contenuti degli stati della nostra mente sono tanto diversi da quelli degli stati di altri sistemi intenzionali quanto i contenuti dei suoi stati (del termometro) sono diversi dagli stati del tachimetro. Ognuno tende a vedere i propri contenuti come piu' importanti e "unici", ma la realta' e' che non esiste un sistema di valori assoluto rispetto al quale stilare una classifica dell'intenzionalita'.
In un certo senso l'analisi causale dell'intenzionalita' sviluppata da Dretske (cioe' che l'intenzionalita' sia "causata" dall'informazione percepita dai sensori) dimostra proprio il contrario. Adottando la teoria ecologica di Gibson e Neisser, Dretske ci propone la visione di un mondo in cui l'informazione e' presente nell'ambiente e gli agenti cognitivi si limitano ad assimilarla. E' da questo processo di assimilazione che avrebbero origine gli stati interni della mente. Ma questo e' esattamente cio' che fa uno strumento di misura: prelevare dell'informazione che e' presente nell'ambiente e usarla per costruire un proprio stato interno. Entrambi i fenomeni (quello della mente e quello del termometro) sono casi particolari dell'interazione fra organismo e ambiente. (Heil ha recentemente modificato la teoria di Dretske suggerendo, alla Kant, che la transizione da analogico a digitale sia resa possibile da concetti innati dell'agente; ma anche il termometro potrebbe sostenere che la percezione della temperatura viene modificata dalla sua struttura fisica prima di poter diventare uno stato interno).
Dawkins contesta persino che l'organismo da solo abbia una rilevanza biologica: cio' che ha senso studiare e' un sistema aperto composto dall'organismo e dai suoi contorni. Per esempio, la ragnatela fa ancora parte del ragno, alcuni crostacei crescono la propria conchiglia mentre altri se la cercano, e cosi' via. Il controllo che un organismo esercita non e' totale al proprio interno e nullo all'esterno: piuttosto si ha un continuo di gradi di controllo, che ammette una parzialita' di controllo al proprio interno (tant'e' che diversi parassiti agiscono sul sistema nervoso dei loro ospiti) e un'estensione del controllo all'esterno (come nel caso della ragnatela). Viceversa, non e' detto che dentro i contorni dell'organismo esista un'unica psicologia: basta pensare al caso degli schizofrenici. Dawkins ridimensiona in tal modo l'importanza dei singoli organismi e conferisce invece un primato al "fenotipo esteso", che si estende fin dove arriva il suo controllo. Millikan, riprendendo questa teoria biologica, sostiene che, nel determinare la funzione di un "sistema", il sistema non e' solamente l'organismo, ma qualcosa che si estende anche al di la' della sua pelle. Non solo: per assolvere alla sua missione, il sistema ha spesso bisogno della cooperazione di altri sistemi: per esempio, il sistema immunitario puo' funzionare soltanto se il corpo viene invaso da virus.
In realta' l'obiezione piu' forte che il termometro deve fronteggiare e' quella che e' stato costruito dall'uomo.
Questa obiezione non regge pero' nei confronti dell'informazione biologica, che e' molto diffusa in natura, dal DNA ai cerchi dei tronchi degli alberi, e che e' quasi sempre relativa ad altro, e non e' stata costruita da nessuno. I filosofi si dimenticano anche spesso che la mente umana non e' l'unica mente esistente: perlomeno i mammiferi e gli uccelli hanno una mente non troppo diversa dalla nostra, e presumibilmente sono in grado di provare desideri, speranze e paure. L'intenzionalita' sembra, insomma, essere, non un privilegio della mente umana, bensi' una proprieta' assai diffusa in natura.
Si potrebbe persino sostenere che l'intenzionalita' sia una proprieta' generale di tutto l'universo: persino un sasso, al limite, fa riferimento in mille modi all'ambiente in cui si trova.
Searle sostiene, in effetti, che l'intenzionalita' sia una proprieta' biologica (non solo umana, ma non addirittura fisica).
Dennett distingue tre strategie utili per spiegare e predire il comportamento di un sistema: fisica ("physical stance"), che inferisce il comportamento dalla struttura fisica e dalle leggi fisiche; funzionale ("design stance"), che inferisce il comportamento dalla funzione per cui e' stato progettato (per esempio, riusciamo a predire quando una sveglia suonera' anche senza conoscere il meccanismo interno dell' orologio); e intenzionale ("intentional stance"), che inferisce il comportamento dalle convinzioni e dai desideri che quel sistema deve avere se e' un essere razionale (per esempio, se Vincenzo e' un essere razionale, quando si siede a tavola e si lega il tovagliolo attorno al collo, vuole mangiare e crede che Giusi abbia preparato il pranzo, e, conoscendo Giusi, non e' difficile predire che mangera'). L'"atteggiamento intenzionale" ("intentional stance") e' pertanto l'insieme delle convinzioni e dei desideri di un organismo, ed e' cio' che ci consente di prevedere le sue azioni. Convinzioni e desideri non sono stati interni della mente che causano un comportamento, ma semplicemente strumenti di calcolo per predire il comportamento; come se fossero dei costrutti logici che servono soltanto mentre si compiono dei calcoli.
Il processo che definisce come le convinzioni e i desideri si formano e come determinano il comportamento dell'organismo ha origini biologiche. Dennett assume che, se un organismo e' sopravissuto alla selezione naturale, la maggioranza delle sue convinzioni sono vere e l'uso che fa delle sue convinzioni e' per lo piu' "razionale" (usa le proprie convinzioni per soddisfare i propri desideri).
Interpretato in chiave biologica (e cioe' in termini di bisogni primari), l'"atteggiamento intenzionale" finisce per descrivere anche come quell'organismo e' legato al suo ambiente, quale informazione ha acquisito e quale azione si prepara a compiere. L'organismo riflette in continuazione l'ambiente, in quanto l'organizzazione stessa del suo sistema ne contiene implicitamente una rappresentazione.
Per Dennett gli stati intenzionali non sono stati interni del sistema, ma descrizioni della relazione fra il sistema e il suo ambiente (per esempio, un sistema ha paura del fuoco se si trova in una certa relazione con il fuoco). Inoltre non esiste uno stato intenzionale separato dagli altri, ma, olisticamente, ha senso parlare soltanto dello stato cognitivo di un organismo nel suo complesso, e della sua relazione complessiva con l'ambiente. In altre parole l'attitudine proposizionale e' data da un'"attitudine nozionale", che e' indipendente dal mondo reale, e da una componente dovuta al mondo reale.
Una "attitudine nozionale" e' definita rispetto a un "mondo nozionale" ("notional world"): i mondi nozionali di un agente sono i mondi in cui tutte le convinzioni di quell'agente sono vere e tutti i suoi desideri sono realizzabili. Per esempio, io e il mio doppio sulla Terra gemella di Putnam abbiamo lo stesso mondo nozionale, benche' viviamo in due mondi reali diversi; io e Vincenzo viviamo nello stesso mondo reale, ma abbiamo due mondi nozionali diversi. In questo modo Dennett riesce a risolvere anche il paradosso di Putnam: io e il mio doppio sulla Terra gemella di Putnam abbiamo le stesse "attitudini nozionali", e le diverse attitudini proposizionali riguardo l'acqua sono dovute unicamente ai rispettivi ambienti. (Non e' chiaro pero' come "credo di essere famoso" e "ho paura di non essere famoso" possano coesistere nel mio mondo nozionale).
In definitiva l'intenzionalita' definisce un organismo in funzione delle sue convinzioni e dei suoi desideri, i quali sono il prodotto della selezione naturale. Quanto piu' i mondi nozionali di un agente si discostano da quello reale, tanto minore e' la capacita' di adattamento dell'agente al proprio ambiente. E' la funzione biologica dei meccanismi cognitivi a fissare convinzioni e desideri, e questi devono essere rispettivamente veri e possibili per essere utili alla sopravvivenza della specie. Se incontrassimo su un altro pianeta esseri non umani ma che si comportano esattamente come gli umani, saremmo egualmente in grado di fornire spiegazioni e predizioni intenzionali riguardo il loro comportamento, in quanto il processo di selezione naturale ha fatto in modo che anche questi esseri rispondano agli stimoli dell'ambiente nello stesso modo (razionale) in cui rispondono gli esseri umani.
Come la Biologia non puo' fare a meno del postulato di ottimalita' dei sistemi adattati all'ambiente, cosi' la Psicologia non puo' fare a meno del postulato di razionalita' dei sistemi intenzionali. Sono aspetti complementari della selezione naturale e, in ultima analisi, dell'evoluzione delle specie.
La teoria di Dennett consente di interpretare l'intenzionalita' in un contesto ecologico (alla Gibson e Neisser, come risposta all'informazione dell'ambiente), in un contesto etologico (sotto forma di profilo cognitivo della specie, cioe' a quale informazione quella specie e' sensibile) e in un contesto filogenetico (come un organismo sia evoluto per adattarsi cognitivamente al suo ambiente). .bp .NH Ricapitolando: sum ergo cogito?
Dalla scoperta che la mente e' un sistema intenzionale sono emersi alcuni argomenti inquietanti: