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Quando penso a me stesso percepisco una cosa che e' completamente diversa da qualunque cosa io possa percepire aprendo il mio cranio e scrutandovi dentro. Il primo mistero e' perche' io percepisca qualcosa che non e' la verita'; o, meglio, qualcosa che non corrisponde a cio' che, applicando lo stesso mezzo di indagine, ci appare essere la verita'; ovvero perche' la struttura della mente sia inaccessibile alla nostra mente, e al tempo stesso possiamo percepire di avere una mente.
Ma un mistero non meno grande e' perche' io percepisca qualcosa. Se io non percepissi nulla di me stesso, gran parte dei problemi filosofici dell'umanita' non esisterebbero (e, per esempio, io non avrei bisogno di passare tanti weekend a scrivere libri come questo).
Un mistero collaterale e' quello che io posso percepire soltanto la struttura del cervello degli altri, non del mio. Ma questo, piu' che un mistero, e' forse un teorema, facile da dimostrare: se percepissi il mio cervello, per definizione il mio cervello si troverebbe nello stato di percepire il mio cervello mentre si trova nello stato di percepire il mio cervello mentre si trova nello stato di...
Un altro mistero, spesso sottovalutato, e' se esistano altri oggetti, entita', materiali, fenomeni, corpi, che si possono auto-percepire. Cosa proverebbe un cristallo se potesse concentrarsi sulla propria essenza? Percepirebbe la propria struttura fisica, o anch'esso (egli?) percepirebbe un flusso disordinato di emozioni, pensieri, sensazioni?
La Coscienza e' una proprieta' soltanto del nostro cervello? di tutti i cervelli? di tutte le cose? Un pezzo del cervello avrebbe coscienza? Se no, qual'e' il minimo necessario per avere coscienza?
Cosa mi fa pensare che gli altri esseri umani provino le stesse sensazioni che provo io? Essenzialmente il fatto che si comportano in maniera "analoga". E' l'analogia l'unica reale "dimostrazione" che la mia Coscienza non e' l'unica al mondo, non e' sola nell'universo. Ma dove finisce l'analogia? Fin dove posso spingermi con l'analogia? Perche', volendo, posso trovare analogie persino nel comportamento nei sassi; e certamente ne posso trovare nel comportamento degli animali, delle piante, dei cristalli e di tanti tipi di materiali. Quali sono le analogie rilevanti al fine di determinare se un "essere" ha coscienza di se'?
Nella storia delle scienze della mente e della macchina possiamo evidenziare tre fasi. In ciascuna fase un elemento e' stato considerato essenziale per decidere se una macchina sia o meno "intelligente": la razionalita', l'intenzionalita' e l'introspezione. Per razionalita' intendiamo un comportamento che e' coerente con la necessita' di sopravvivere nel proprio ambiente. Per intenzionalita' la capacita' di far riferimento ad altri oggetti. Per introspezione intendiamo il far riferimento a se stessi.
La razionalita' e' certamente comune a tutti gli animali, e probabilmente a tutto cio' che (tautologicamente) esiste (ovvero e' sopravvissuto). L'intenzionalita' e' comune almeno a diversi sistemi biologici, oltre che a qualche oggetto costruito dall'uomo. L'introspezione e' il criterio che sta assumendo una crescente rilevanza per stabilire il primato dell'essere umano.
Molti altri misteri hanno a che vedere con la reificazione della Coscienza.
Dove ha sede la Coscienza? Se lo stato mentale e' uno stato (o un processo) neurale, dov'e' situato? Non lo "sento" in nessun punto particolare della mente, e talvolta lo sento persino fuori dalla mente (nel cuore, per esempio).
Quanto e' estesa? Dove finisce? Certo ogni coscienza deve finire prima che comincino le altre. Ma dentro o fuori del proprio corpo?
Perche' non posso controllare certi eventi del mio corpo, come il battito del cuore?
Perche', a differenza del corpo, la Coscienza e' una cosa sola, non scomponibile in parti costituenti?
In realta' la "Coscienza" andrebbe innanzitutto divisa in due parti: l'essere cosciente che esiste il mondo (compreso il mio corpo e il mio cervello) e l'essere cosciente che esisto io (non in quanto corpo o cervello, ma in quanto io).
Dennett ritiene che l'origine della Coscienza sia da ricercarsi nella stratificazione della mente a "macchine virtuali", in accordo con Jaynes, secondo il quale la Coscienza avrebbe origine da una gerarchia di livelli nel cervello, e ne rappresenterebbe il livello piu' elevato.
Ma un folto gruppo di pensatori ritiene che sia semplicemente impossibile studiare e capire la Coscienza. Per Nagel la proprieta' di "cosa si prova ad essere" ("what it is like to be") non e' trattabile con gli strumenti della Scienza, e rimarra' pertanto sempre inaccessibile: non potremo mai "provare" cosa si prova ad essere un pipistrello, anche se ci venisse fornita una quantita' sterminata di informazione su quell'argomento. Jackson elucida questa posizione portando l'esempio di una scienziata dotata di tutta la conoscenza possibile riguardo i colori ma incapace di vedere altro che bianco e nero: se un giorno riacquistasse di colpo la capacita' di distinguere i colori, "capirebbe" cosa si vede quando si vede, per esempio, il rosso; anche prima aveva tutta la conoscenza sul rosso, ma soltanto vedendolo potrebbe capire cosa si prova a vederlo.
Secondo McGinn il mistero della Coscienza e' insolubile da noi umani, la nostra mente non ha quella capacita' e non potra' mai averla, e soltanto un essere esterno potrebbe riuscirci. Organismi diversi possono concepire fenomeni diversi: una scimmia non puo' concepire gli elettroni; un uomo cieco dalla nascita non puo' concepire il colore rosso. McGinn chiama questa proprieta' la "chiusura cognitiva" di un organismo e sostiene che la Coscienza non rientra nella nostra chiusura cognitiva: esistono soltanto due metodi per capire la Coscienza, quello introspettivo (in cui l'io ragiona su se stesso) e quello scientifico (in cui lo scienziato costruisce un modello matematico di un fenomeno), ma tutti e due sono inadeguati alla bisogna.
Esiste poi una corrente di pensiero che propone un'interpretazione della Coscienza alla luce della Meccanica Quantistica. Penrose, per esempio, ritiene che la Coscienza sia un fenomeno quantomeccanico.
Deutsch, generalizzando le idee di Turing, definisce una macchina "quantistica" analoga alla macchina di Turing, ma nella quale gli stati possono essere sovrapposizioni (combinazioni lineari) di stati; il comportamento di una simile macchina e' allora la sovrapposizione del comportamento di diverse macchine di Turing. Una simile macchina puo' calcolare soltanto le funzioni ricorsive, ed e' pertanto tanto potente quanto quella di Turing, ma garantisce di risolvere in tempi molto piu' brevi problemi che esibiscono un intrinseco parallelismo. Deutsch interpreta il funzionamento di un computer quantistico come se scomponesse il problema e poi delegasse i sottoproblemi a copie di se stesso in altri universi.
In natura esiste un fenomeno analogo, quello della "condensazione bosonica", scoperto da Frohlich prima a livello teorico e poi in diversi sistemi biologici; e Marshall pensa che il cervello faccia uso di effetti d'interferenza quantistici di questo genere e che la natura olistica degli stati di condensazione bosonica renda conto dell'unitarieta' della Coscienza. Per inciso, un tale stato e' in grado di contenere una quantita' enorme di informazioni in uno spazio molto ristretto. Come nelle reti neurali e negli ologrammi, l'informazione e' distribuita sull'intero sistema (una conseguenza delle proprieta' quantistiche).
Il problema e' che il cervello stesso e' una forma, ed e' una forma suscettibile di evoluzione. Da un lato si pone quindi il problema di determinare quale porzione del cervello determina la mia identita' (quale pezzo del cervello puo' essere asportato senza che io cessi di essere io, e quale invece non puo' essere asportato senza che io cessi di essere io), dall'altro si pone il problema non meno spinoso di come io possa continuare ad essere io anche se nel corso degli anni la forma del mio cervello continua a cambiare. Un'altra domanda sorge spontanea: se un novello Frankenstein riuscisse a produrre in laboratorio una copia esatta del mio cervello, atomo per atomo, quel cervello sarei io? Ci sono poi tutte le variazioni su queste domande: cosa succederebbe se io smontassi il mio cervello e poi lo rimontassi accuratamente pezzo per pezzo? Sarei ancora io? E cosa succederebbe se scambiassi semplicemente di posto un paio di cose fra di loro? Unger elenca decine di varianti su questi esperimenti mentali che sembrano confutare l'idea di una discontinuita' fra l'io e il resto del mondo.
Il problema dell'identita' dell'io e' ancora piu' complicato del problema dell'identita' di un oggetto. Non solo non sono chiari i confini dell'oggetto, ma non e' neppure chiaro da quale parte (cervello? corteccia cerebrale? cervelletto?) e da quale attributo (forma, sostanza, anima?) abbia origine l'io.
I dati neurologici e psicologici che sono disponibili sembrano piuttosto indicare una "gradualita'" dell'identita'.
Cosi' per Churchland la Coscienza non e' un'entita' unica e indivisibile e uguale per tutti, ma esiste una gradazione di coscienza e ogni individuo ha un grado di coscienza diverso; ovvero la Coscienza e' in gran parte una proprieta' acquisita durante l'esistenza, e in minima parte una proprieta' innata dell'organismo umano. Churchland riconduce la Coscienza a una forma particolare di percezione, la percezione di se stessi. E per Buck il comportamento e' governato da fattori biologici (innati), epistemici (acquisiti) e razionali (elaborati)
Che non esista un'identita' unica e' implicito nella teoria dello "split brain" di Sperry (secondo la quale l'emisfero sinistro elabora informazioni in modo analitico e distribuito mentre quello destro elabora informazioni in modo sintetico e olistico) e nella constazione che i due emisferi dello "split brain" esibiscano personalita' indipendenti.
Nagel ritiene che i pazienti di Sperry a cui e' stato reciso il corpus callosum non abbiamo ne' due menti ne' una sola: la Coscienza non puo' essere "contata". Gli esperimenti dimostrano infatti che i due emisferi non sono in grado di competere e che tendono sempre a cooperare, ovvero che sono stati progettati per lavorare in tandem. Altri esperimenti hanno dimostrato che il corpus callosum non era stato del tutto rimosso dal cervello di pazienti che pure esibivano gia' due personalita'. Altri esperimenti ancora provano che il molte fibre del corpus callosum muoiono spontaneamente durante la vita dell'individuo.
Anche la teoria "dei livelli intermedi" di Jackendoff nega il carattere unitario della Coscienza, basandosi su fatti psicologici: di ogni facolta' mentale abbiamo coscienza a livelli cognitivi diversi, e non sempre al livello piu' elevato. Ogni facolta' mentale si presenta a diversi livelli di interpretazione (per esempio il linguaggio puo' essere scomposto in fonologia, sintassi, semantica e cosi' via) che formano una "catena". Le varie catene, corrispondenti alle varie facolta' cognitive, si intersecano in diversi punti, e in quei punti (ovvero fra quei livelli) esse possono interagire. La Coscienza linguistica ha origine dal livello fonologico, la coscienza visiva ha origine dello sketch a due dimensioni e mezza e cosi' via. Per tutte le facolta' finora studiate il livello di "coscienza" e' sempre un livello intermedio.
Analogamente secondo Flanagan la Coscienza e' un insieme eterogeneo di processi i quali hanno in comune la proprieta' di essere "sentiti". Non ci sarebbe cioe' una Coscienza unica, ma ci sarebbe un insieme di fenomeni ciascuno dei quali e' "cosciente". Fra i tanti fenomeni che hanno luogo nel nostro corpo, alcuni dei quali sono totalmente inconsci e non percepibili (per esempio, il battito del cuore), altri sono inconsci ma percepibili da altri processi (le percezioni sensoriali, per esempio) e infine alcuni sono consci, ovvero auto-percepibili.
Parafrasando Lockwood, sembrerebbe che esistano gradi di una stessa Coscienza composita in zone diverse del cervello corrispondenti a gradi di connettivita' (a "topologie di connettivita'", direbbe Edelman) fra quelle zone.
Esiste un equilibrio ottimale di gradi di coscienza? Gershwind ritiene di si': troppa fusione fra gli emisferi rende difficile utilizzare varie funzioni in parallelo (per esempio, il noto esercizio di muovere una mano in un verso e l'altra in un altro); troppa poca fusione porta allo sdoppiamento.
In altre parole Descartes avrebbe ragione che la mente e' una sola e indivisibile, e Sperry avrebbe a sua volta ragione che ce ne sono due; e forse tagliando qualcos'altro se ne troverebbero altre ancora: ci sono una moltitudine di fenomeni di coscienza che possono essere presenti in grado minore o maggiore in certe zone a seconda del grado di connettivita'.
La rivoluzione cartesiana in questo campo e' dovuta a James, il quale, affermando che la Coscienza non e' una sostanza ma un processo, getto' le fondamenta per una teoria scientifica della Coscienza.
Basandosi sul proprio modello neurobiologico, Edelman presume che la Coscienza sia un processo dovuto a una proprieta' dell'organizzazione del cervello, la quale avrebbe a sua volta avuto origine dall'evoluzione e sarebbe un processo di popolazione (non un processo di individui). Questo processo avrebbe sede in una parte del cervello relativa al "se'" (self), comprendente ipotalamo, amigdala, ippocampo, etc, che e' del tutto distinta da quella relativa al "resto" (non-self), comprendente la corteccia cerebrale, il talamo, il cerebellum, etc. Le parti del self si sarebbero evolute per provvedere a funzioni adattative omeostatiche. L'esperienza percettiva scaturirebbe da un processo di "ricategorizzazione" che confronta una categoria percettiva appena percepita con il valore assegnato in passato a quella categoria dai sistemi cerebrali adattativi omeostatici (un valore essendo una misura di quanto contribuisce all'adattamento). Il linguaggio, che secondo Edelman e' un'evoluzione della capacita' di formare concetti (ovvero relazioni) e consiste nella connessione rientrante di fonologia, sintassi e semantica, consentirebbe poi agli individui della specie umana un livello di Coscienza superiore.
La sensazione di una percezione emerge pertanto dalla correlazione fra una percezione e il corrispondente concetto. La Coscienza e' il risultato di una memoria comparativa in cui categorizzazioni gia' esistenti vengono continuamente confrontate con categorizzazioni in corso.
Se C(I) e' la categorizzazione dovuta alla componente di self e C(W) e' quella relativa al non-self, e C(C(I)*C(W)) e' la ricategorizzazione di C(W) rispetto a C(I), la Coscienza e' il risultato di un processo rientrante fra .ce C( C(W)*C(I) ) nell'istante "n" .ce e C(W) nell'istante "n+1".
Basandosi sulla topologia di connettivita' del cervello umano, Edelman cerca anche di individuare il luogo in cui tale processo rientrante puo' aver luogo, ma senza giungere (per ora) a una conclusione definitiva.
Anche la Coscienza "linguistica" (quella di ordine superiore) e' ovviamente un prodotto dell'evoluzione, e avrebbe una funzione ben precisa: liberarci dalla schiavitu' del presente. La Coscienza puo', infatti, distinguere passato da presente, e aggiungere il primo al secondo fra i parametri che determinano l'azione (puo', per esempio, pianificare le proprie azioni future).
Grazie al linguaggio la Coscienza puo' anche modellare le relazioni fra self e non-self (il self puo' ora essere definito tramite frasi del linguaggio e non soltanto da eventi in corso) e comunicare con altre coscienze.
Edelman consiglia pertanto di distinguere due tipi o livelli di Coscienza: quella che consiste nel semplice essere cosciente della differenza fra se' e il resto del mondo, e quella in cui invece si e' anche in grado di modellare quel "se'".
Sembra sempre piu' probabile pero' che si dovranno abbandonare le attuali posizioni teleologiche e darwiniane: e' sempre meno lecito spacciare non solo la Coscienza, ma anche le attivita' creative (e il fatto stesso che io stia scrivendo questo libro) come funzioni dovute alla necessita' di sopravvivere alla selezione naturale. E' chiaro anche all'uomo della strada che gran parte delle attivita' umane non solo non aiutano a sopravvivere, ma in certi casi sono persino pericolose (vedi le brame di potere dei dittatori) o comunque controproducenti (potrei impiegare molto piu' proficuamente il mio tempo che non scrivendo libri). Piu' passa il tempo piu' il comportamento umano si va allontanando da moventi puramente darwiniani (si pensi a quanto sono innaturali gli anticoncezionali).
O il nostro cervello e' riuscito a ingannare Madre Natura o, piu' semplicemente, il principio che era alle origini e che ancora vige non e' soltanto darwiniano.
Jaynes fa notare, per esempio, che la Coscienza di un'azione tende a seguire l'azione, non a precederla, e pertanto ha una scarsa influenza sul risultato. Quando parlo a qualcuno, prima di emettere una frase non ero conscio di stare per emettere quella frase; soltanto dopo averla emessa, mi rendo conto di aver pronunciato certe parole piuttosto che altre; avrei potuto usare molti modi diversi per dire la stessa cosa, ma quello che ho scelto alla fine non e' dovuto al mio esserne stato cosciente "dopo" averlo detto. E' nel momento di sentire cio' che stavo dicendo che io sono stato veramente cosciente di dirlo; prima ho parlato, poi mi sono sentito e poi (per ultimo) sono stato cosciente di aver detto quelle parole. Puo' succedere che io sia cosciente di voler dire certe parole "prima" di dirle, ma questo e' quasi sempre il caso in cui poi non le dico; cio' di cui sono realmente cosciente non e' il fatto di stare per dirle, ma il fatto di stare per "non" dirle!
E' vero che l'organismo ha bisogno di saper distinguere se stesso dal resto del mondo. Questa e' un'informazione fondamentale per poter utilizzare l'esperienza. E questa e' un'informazione che probabilmente tutti gli animali hanno. Cio' che nell'uomo si e' sviluppato in maniera abnorme e' quella che Dennett chiama "l'io come centro di gravita' narrativa"; e questo "io" prende forma poco alla volta, ed e' estremamente labile nei primi anni di vita. Il suo scopo sembra essere piu' sociale che evolutivo, sembra essere soprattutto quello di poter comunicare con gli altri. Per poter raccontare un episodio e tutto cio' che ne consegue occorre innanzitutto avere un modello di se stessi. Questo "io narrativo" viene irrobustito man mano che le esperienze aumentano e man mano che aumentano le comunicazioni di tali esperienze ad altri.
Il fatto saliente di questo "io narrativo" e' che viene costruito durante la vita e puo' essere cambiato in qualsiasi istante (da una particolare esperienza o persino dalla semplice introspezione).
Anche Humphrey ritiene che la funzione della Coscienza sia quella di consentire l'interazione sociale con altre coscienze. E cio' sarebbe in accordo con le teorie sociobiologiche di Wilson, intendendo la comunicazione come il processo per cui il comportamento di un animale influenza il comportamento di un altro animale
Maggiori sono le capacita' di comunicazione, maggiore dovrebbe allora essere il grado di Coscienza; e alla specie umana, capace di un sistema di comunicazione cosi' raffinato come il linguaggio, spetterebbe un primato assoluto. Viene pero' da domandarsi se questa gradazione vale anche all'interno della specie umana: un uomo dotato di una dialettica piu' abile ha anche maggiore Coscienza di se' degli altri uomini?
La Scienza consiste nell'eliminare la Coscienza dalla percezione del mondo: il metodo scientifico e' oggettivo, non soggettivo, e tanto piu' scientifico quanto meno soggettivo. Nell'Astronomia, per esempio, non si trova traccia delle sensazioni provocate dal tramonto sulle coppie di innamorati, e neppure di quelle causate all'astronomo stesso dalla scoperta di un nuovo quasar. Lo scienziato deve innanzitutto neutralizzare le proprie emozioni, ovvero se stesso. Lo scienziato ideale di Galileo e', in effetti, un computer.
Dietro a questa concezione della scienza galileiana ci sono almeno due assunzioni implicite: che la Coscienza sia inutile ai fini di capire il mondo; e che la Coscienza possa essere persino fuorviante ai fini di capire il mondo. Einstein e Heisenberg hanno, in misura diversa, re-introdotto lo scienziato nella scienza, dimostrando che non e' possibile separare l'osservazione dall'osservatore; ma l'osservatore e' comunque rimasto un essere passivo e senza struttura.
Se partiamo dal presupposto che la mente sia direttamente cosciente soltanto di oggetti mentali (sensazioni, emozioni, pensieri) e che ogni altro stato di Coscienza debba essere costruito tramite il pensiero a partire da questi (parafrasando Russell: ogni proposizione che possiamo capire sia composta di costituenti che conosciamo per conoscenza diretta, e non soltanto per descrizione), non e' chiaro come possiamo avere coscienza del mondo esterno (e della materia in generale possiamo sapere soltanto per descrizione, non per conoscenza diretta).
Secondo Russell la Coscienza e' una finestra sul cervello che ci offre il grado di trasparenza necessario per poter avere conoscenza diretta della materia: possiamo essere coscienti dei processi del nostro cervello e tramite questi, indirettamente, del mondo esterno.
Cio' che noi proviamo, cio' di cui siamo coscienti, e' un processo fisico che ha luogo nel nostro cervello: e' la Coscienza il trait d'union fra processi cerebrali e processi mentali.
Anche per Armstrong la Coscienza e' la percezione di stati mentali.
Lockwood ne deduce che le nostre sensazioni sono attributi intrinseci di stati fisici del cervello. La Coscienza non farebbe altro che scandagliare il cervello alla ricerca di sensazioni: non e' lei a crearle, si limita a cercarle.
Per l'esattezza Lockwood reinterpreta la teoria della mente di Russell e la Meccanica Quantistica in maniera tale che ogni attributo osservabile dalla mente (ogni sensazione, per esempio) corrisponda a un osservabile del cervello; e il mondo esterno sia un sistema fisico in cui e' definito un insieme di osservabili compatibili, il cui stato e' pertanto definito da una somma di autostati di tali osservabili (cioe' da una somma di "prospettive").
Sellars si spinge ancora piu' in la' di Russell. Secondo Sellars fra i costituenti ultimi della materia devono comparire anche i "sensi" che rendono conto delle qualita' delle cose. Per esempio, una palla rossa e' un insieme di particelle in continuo e violento movimento: da cosa ha origine l'impressione di colore omogeneo? Se scompongo la palla, continuo ad ottenere oggetti rossi: quando scompare il rosso e rimangono soltanto dei costituenti incolore? Secondo Sellars, mai: ogni proprieta' di un oggetto (comprese le sensazioni che esercita su di noi) devono essere presenti nei suoi costituenti. Sellars e' scettico nei confronti delle attuali teorie scientifiche in quanto piu' si prende sul serio le loro descrizioni della materia, meno "materia" sembra esserci nel mondo!
Parafrasando Sant'Agostino: "Che cos'e' il tempo? Se nessuno me lo chiede, so che cos'e'. Ma se lo voglio spiegare a qualcuno, non so cosa sia."
La coscienza del passato ha a che vedere con la memoria, ma e' piu' di una semplice memoria: e' un ricordo, nel quale ricompare parte delle emozioni provate durante quell'evento e che e' in grado di generare anche nuove emozioni. La coscienza del futuro, e per esempio della morte, e' di nuovo qualcosa di piu' di un semplicemente ragionamento, di una previsione: ho paura della morte, non vedo l'ora che questo libro sia in libreria, e cosi' via. Provo sensazioni legate al tempo che deve ancora avvenire. Infine ho coscienza del passare del tempo, del fatto che ogni istante il presente diventa passato e il futuro diventa qualcosa di diverso dal futuro di un istante prima.
Davies ritiene che la coscienza del tempo sia dovuta alla memoria a breve termine. Lockwood precisa: siamo coscienti di un ricordo del passato, non del passato. Ma siamo coscienti anche del futuro, e non e' chiaro come c'entri la memoria a breve termine.
In Relativita' io sono semplicemente un pezzo dello spazio-tempo quadridimensionale, ovvero sono un'area quadri-dimensionale e in particolare contengo gia' il mio futuro (in realta' la teoria della superstringa prevede dieci dimensioni, ma sei di queste sono trascurabili ai fini pratici della psicologia umana). Nell'ipotesi di Russell che esista quella "finestra" sul mondo, dovrebbe allora esistere anche una finestra sul tempo, sia passato sia futuro, e questo spiegherebbe allora la coscienza del tempo.
In realta' la coscienza del tempo e' soltanto un pezzo del mosaico: abbiamo coscienza del mondo, e di come noi agiamo nel mondo. Non siamo soltanto in grado di avere coscienza di cio' che potrebbe succedere nel futuro (o che, ahime', certamente succedera'), ma anche di cose che (ahime') non potranno succedere mai (che io diventi miliardario o che vinca un premio Nobel o che incontri una donna perfetta): posso immaginare tutte queste cose e persino provare le emozioni che proverei se accadessero. I sogni sono forse il caso limite di questa capacita' della Coscienza.
Buck identifica tre funzioni dell'emozione: adattamento corporeo all'ambiente, comunicazione sociale con altre coscienze, ed esperienza soggettiva. Tutte e tre originano da "moventi" che devono essere soddisfatti e l'emozione corrispondente in un certo istante non e' altro che una misura di quanto insoddisfatti essi sono in quell'istante.
Johnson-Laird, per esempio, ritiene che la mente conscia sia dovuta a un processo seriale di elaborazione simbolica che ha luogo al livello piu' elevato di una gerarchia di elaboratori; mentre la mente inconscia sarebbe dovuta a un processo parallelo di rappresentazione simbolica distribuita. Le emozioni sarebbero segnali non-simbolici che si propagano all'interno della gerarchia, causati da interpretazioni cognitive della situazione, in accordo con le teorie di Mandler.
Occorre innanzitutto, come fa notare Sloman, distinguere fra emozioni e attitudini: un'emozione e' un episodio. "Vincenzo ama Giusi" e' un'attitudine, non un'emozione. "Vincenzo si e' arrabbiato perche' Giusi non ha preparato la cena" e' un'emozione.
Lazarus sostiene che l'obiettivo finale delle emozioni e' sempre quello di aiutare l'organismo a sopravvivere ed esse esprimono il significato personale delle esperienze di un individuo. Lazarus esplora il ruolo delle emozioni nell'adattamento e conferisce un primato alla cognizione nelle relazioni fra emozioni e cognizione (a differenza di Zajonc, che privilegia l'emozione): l'emozione e' dovuta a una valutazione delle conseguenze potenziali di una situazione. Cosi' un animale dovrebbe riuscire a capire che una certa situazione puo' causare danno prima di poter provare la sensazione di pericolo. La controversia fra Lazarus e Zajonc potrebbe essere risolta considerando i diversi ruoli, sincretico e analitico, dei due emisferi cerebrali, il primo piu' portato a privilegiare l'emozione, il secondo piu' idoneo a privilegiare la cognizione.
Analogamente Sousa ritiene che le emozioni siano tutt'altro che un fatto irrazionale, ma abbiano anzi la stessa funzione delle percezioni e contribuiscano pertanto a creare desideri e convinzioni e, in ultima analisi, a decidere come agire nel mondo.
Le emozioni potrebbero persino essere una conseguenza diretta del fatto di esistere nel mondo in cui esistiamo. Secondo Sloman ogni agente intelligente e limitato che debba agire in un ambiente complesso, in cui sarebbe necessario un numero infinito di risorse per poter prendere decisioni, deve essere dotato di meccanismi che causano stati di emozione. Le emozioni sarebbero pertanto il prodotto dei vincoli imposti dall'ambiente sull'azione dell'agente intelligente.
Analizzando la "grammatica" delle emozioni, Sloman fa notare che un'emozione sottintende generalmente un movente di quell'emozione: e' in risposta a quel movente, e in particolare alla sua "forza", che viene generata l'emozione. La relazione che sussiste fra quel movente e quell'emozione classifica di fatto l'emozione. Per esempio, l'emozione di essere arrabbiato con qualcuno ha origine dalla convinzione che quel qualcuno abbia compiuto (o non compiuto) un'azione che impedisce la realizzazione di un proprio desiderio. Questa puo' essere la definzione di "arrabbiato". Quando usiamo termini come "paura", "delusione", "imbarazzo", non facciamo altro che definire uno stato di cose dovuto a un certo movente e l'insieme di stato di cose e movente definisce un tipo di emozione piuttosto che un altro ("paura", "delusione", "imbarazzo", etc). La teoria dei moventi di Sloman non e' molto diversa da quella delle "disposizioni" di Ryle, che enfatizza una catena causale fra gli stati mentali e l'azione attraverso una gerarchia di disposizioni.
Sloman fa anche notare che puo' aver luogo un'interazione fra stati emotivi e stati cognitivi. Per esempio, quando penso che le mie invettive contro i fisolofi potranno procurarmi delle recensioni negative, provo l'impulso di cambiare il testo di questo libro; ma quando rifletto che le vendite di un libro come questo dipendono in minima misura dalla qualita' delle recensioni, lascio il testo com'e', anche se l'ansia mi rimane.