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XII
A MONSIGNOR PIERO DINI IN ROMA
(Firenze, 16 febbraio 1615)
Molto Illustre e Reverendissimo Signor mio
Colendissimo,
Perché so che Vostra Signoria molto Illustre e
Reverendissima fu subito avvisata delle replicate
invettive che furono, alcune settimane fa, dal pulpito
fatte contro la dottrina del Copernico e suoi seguaci, e
più contro i matematici e la matematica stessa, però
non gli replicherò nulla sopra questi particolari che da
altri intese: ma desidero bene che lei sappia, come, non
avendo né io né altri fatte un minimo moto o
risentimento sopra gl'insulti di che fummo non con molta
carità aggravati, non però si son quietate l'acces'ire
di quelli; anzi, essendo ritornato da Pisa il medesimo
Padre che si era fatto sentire quell'anno in privati
colloqui, ha aggravato di nuovo la mano sopra di me: ed
essendogli pervenuta, non so donde, copia di una lettera
ch'io scrissi l'anno passato al Padre Matematico di Pisa
in proposito dell'apportare le autorità sacre in dispute
naturali ed in esplicazione del luogo di Giosuè, vi
vanno esclamando sopra, e ritrovandovi, per quanto
dicono, molte eresie, ed insomma si sono aperti un nuovo
campo di lacerarmi Ma perché da ogni altro che ha veduta
detta lettera non mi è stato fatto pur minimo segno di
scrupolo, vo dubitando che forse chi l'ha trascritta
possa inavvertentemente aver mutata qualche parola; la
qual mutazione, congiunta con un poco di disposizione
alle censure, possa far apparire le cose molto diverse
dalla mia intenzione. E perché alcuni di questi Padri,
ed in particolare quest'istesso che ha parlato, se ne son
venuti costà per far, come intendo, qualche altro
tentativo con la sua copia di detta mia lettera, mi è
parso non fuor di proposito mandarne una copia a Vostra
Signoria Reverendissima nel modo giusto che l'ho scritta
io, pregandola che mi favorisca di leggerla insieme col
Padre Grembergiero Gesuita, matematico insigne e mio
grandissimo amico e padrone, ed anche lasciargliela, se
forse parrà opportuno a Sua Reverenza di farla con
qualche occasione pervenire in mano dell'illustrissimo
Cardinal Bellarmino, al quale questi Padri Domenicani si
son lasciati intendere di voler far capo, con isperanza
di far, per lo meno, dannar il libro del Copernico e la
sua oppinione e dottrina
La lettera fu da me scritta currenti calamo; ma
queste ultime concitazioni ed i motivi che questi Padri
adducono per mostrare i demeriti di questa dottrina,
ond'ella meriti di essere abolita mi hanno fatto veder
qualche cosa di più scritta in simili materie: e
veramente non solo ritrovo, tutto quello che ho scritto
essere stato detto da loro, ma molto più ancora,
mostrando con quanta circonspezione bisogni andar intorno
a quelle conclusioni naturali che non son de Fide,
alle quali possono arrivare l'esperienze e le
dimostrazioni necessarie, e quanto perniciosa cosa
sarebbe l'asserir come dottrina risoluta nelle Sacre
Scritture alcuna proposizione della quale una volta si
potesse aver dimostrazione in contrario. Sopra questi
capi ho distesa una scrittura molto copiosa ma non l'ho
ancora al netto in maniera che ne possa mandar copia a
Vostra Signoria, ma lo farò quanto prima: nella quale,
quel che si sia dell'efficacia delle mie ragioni e
discorsi, di questo ben son sicuro, che ci si troverà
molto più zelo verso Santa Chiesa e la dignità delle
Sacre Lettere, che in questi miei persecutori; poi che
loro proccurano di proibir un libro ammesso tanti anni da
Santa Chiesa, senza averlo pur mai lor veduto, non che
letto o inteso; ed io non fo altro che esclamare che si
esamini la sua dottina e si ponderino le sue ragioni da
persone cattolichissime ed intendentissime, che si
rincontrino le sue posizioni con l'esperienze sensate, e
che in somma non si danni se prima non si trova falso, se
è vero che una proposizione non possa insieme esser vera
ed erronea. Non mancano nella cristianità uomini
intendentissimi della professione, il parer de' quali
circa la verità o falsità della dottrina non doverà
esser posposto all'arbitrio di chi non è punto informato
e che pur troppo chiaro si conosce essere da qualche
parziale affetto alterato, sì come benissimo conoscono
molt; che si trovono qua in fatto, e che veggono tutti
gli andamenti e son informati, almeno in parte, delle
macchine e trattato
Niccolò Copernico fu uomo non pur cattolico, ma
religioso e canonico; fu chiamato a Roma sotto Leone X,
quando nel Concilio Lateranense si trattava l'emendazione
del calendario ecclesiastico, facendosi capo a lui come a
grandissimo astronomo. Restò nondimeno indecisa tal
riforma per questa sola cagione, perché la quantità de
gli anni e de' mesi de' moti del Sole e della Luna non
erano abbastanza stabiliti: onde egli, d'ordine del
vescoro Semproniense, che allora era sopraccapo di questo
negozio, si messe con nuove osservazioni ed accuratissimi
studii all'investigazione di tali periodi; e ne conseguì
in somma tal cognizione, che non solo regolò tutti i
moti de' corpi celesti, ma si acquistò il titolo di
sommo astronomo, la cui dottrina fu poi seguita da tutti,
e conforme ad essa regolato ultimamente il calendario.
Ridusse le sue fatiche intorno a' corsi e costituzioni
de' corpi celesti in sei libri, li quali, a richiesta di
Niccolò Scombergio, cardinale Capuano, mandò in luce, e
gli dedicò a Papa Paolo III, e da quel tempo in qua si
son veduti publicamente senza scrupolo nessuno. Ora
questi buoni frati, solo per un sinistro affetto contro
di me, sapendo che; stimo questo autore, si vantano di
dargli il premio delle sue fatiche con farlo dichiarare
eretico.
Ma quello che è più degno di considerazione, la
prima lor mossa contro questa oppinione fu il lasciarsi
metter su da alcuni miei maligni che gliela dipinsero per
opera mia propria, senza dirli che ella fosse già 70
anni fa stampata; e questo medesimo stile vanno tenendo
con altre persone, nelle quali cercano d'imprimer
sinistro concetto di me: e questo gli va succedendo in
modo tale, che, sendo pochi giorni sono arrivato qua
Monsignor Gherardini, vescovo di Fiesole, nelle prime
visite a pien popolo, dove si abbatterono alcuni amici
miei, proroppe con grandissima veemenza contro di me,
mostrandesi gravemente alterato, e dicendo che n'era per
far gran passata con Loro Altezze Serenissime, poi che
tal mia stravagante oppinione ed erronea dava che dire
assai in Roma; e forse avrà a quest'ora fatto il debito,
se già non l'ha ritenuto l'essere destramente fatto
avvertito, che l'autore di questa dottrina non è
altramente un Fiorentino vivente, ma un Tedesco morto,
che la stampò già 70 anni sono, dedicando il libro al
Sommo Pontefice
Io vo scrivendo, né mi accorgo che parlo a persona
informatissima di questi trattamenti, e forse tanto più
di me, quanto che ella si trova nel luogo dove si fanno
gli strepiti maggiori. Scusimi della prolissità; e se
scorge equità nessuna nella causa mia prestimi il suo
favore, chè gliene viverò perpetunente obbligato. Con
che le bacio riverentemente le mani, e me gli ricordo
servitore devotissimo, e dal Signore Dio gli prego il
colmo di felicità.
Di Firenze, li 16 Febbraio 1615
Di V. S. molto Illustre e Reverendissima
Servitore Obbligatissimo
Galileo Galilei
Poscritta. Ancorché io difficilmente possa credere
che si fosse per precipitare in prendere una tal
risoluzione di annullar questo autore, tuttavia, sapendo
per altre prove quanta sia la potenza della mia
disgrazia, quando è congiunta con la malignità ed
ignoranza de' miei avversari, mi par di aver cagione di
non mi assicurar del tutto sopra la somma prudenza e
santità di quelli da chi ha da dipender l'ultima
risoluzione, sì che quella ancora non possa esser in
parte affascinata da questa fraude che va in volta sotto
il manto di zelo e di carità. Però, per non mancare,
per quanto posso, a me stesso ed a quello che dalla mia
scrittura vedrà in breve Vostra Signoria Reverendissima
che è vero e purissimo zelo, desiderando che almanco
ella possa prima esser veduta, e poi prendasi quella
risoluzione che piaceri a Dio (ché io quanto a me son
tanto bene edificato e disposto, che prima che
contravvenire a' miei superiori, quando non potessi far
altro, e che quello che ora mi pare di credere e toccar
con mano mi avesse ad essere di pregiudizio all'anima, eruerem
oculum meum ne me scandalizaret); io credo che il più
presentaneo rimedio sia il battere alli Padri Gesuiti
come quelli che sanno assai sopra le comuni lettere de'
frati: però gli potrà dar la copia della lettera, ed
anco leggergli se le piacerà, questa che scrivo a lei; e
poi, per la sua solita cortesia, si degnerà di farmi
avvisato di quanto avrà potuto ritrarre. Non so se fosse
opportuno essere col signor Luca Valerio, e dargli copia
di detta lettera, come uomo che è di casa del Cardinale
Aldobrandino e potrebbe fare con Sua Santità qualche
offizio. Di questo e di ogni altra cosa mi rimetto alla
sua bontà e prudenza, e gli raccomando la riputazion
mia, e di nuovo gli bacio le mani.

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