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A PAOLO GUALDO IN PADOVA
(Firenze, 16 giugno 1612)
Molto Ill.re e molto R.do Sig.re Osser.mo
Ho inteso per la gratissima sua quanto passa sin ora
in proposito della lettera mia circa le macchie solari;
di che mi prendo gusto, e in particolare di quelli che,
per non avere a credere, non vogliono vedere; e il gusto
procede perché io sto sempre sul guadagnare e mai sul
perdere, perché continuamente si vien convertendo
qualche incredulo, e de i già persuasi mai non se ne
ribella veruno; perché tutto 'l giorno si vanno
scoprendo nuovi rincontri in confirmazion della verità;
la quale chi l'ha dalla banda sua, sta bene, e può
ridere nel veder gl'avversarii sbattersi e affaticarsi in
vano. Ho anco un'altra consolazione: che queste macchie
solari e gl'altri miei scoprimenti non son cose che col
tempo passino via e non tornino così per fretta, come le
stelle nuove del 72 e 604 o come le comete, che pur
finalmente si perdono e danno agio, con la lor mancanza,
di riposarsi a coloro che, mentre esse furon presenti,
stettero in qualche angustia; ma queste gli terranno
sempre al tormento, perché sempre si vedranno: ed è ben
ragione che la natura mandi una volta a vendicarsi contro
l'ingratitudine di coloro che tanto tempo l'hanno
bistrattata, e che per certa loro sciocca ostinazione
voglion tener serrati gl'occhi contro a quel lume
ch'ella, per loro insegnamento gli tien sempre davanti.
Ecco che ella finalmente con caratteri indelebili ci
mostra chi ell'è e quanto ella sia nemica dell'ozio, ma
che sempre e in ogni luogo gli piace di operare,
generare, produrre e dissolvere, e queste sono le sue
somme eccellenze. Ma non voglio ora entrare in materie da
non esser capite in una lettera.
Ho ricevuto dal S. Velsero aviso come la mia gl'è
pervenuta, e che gl'è stata grata; ma che Apelle per ora
non potrà vederla, per non intender la lingua. Io l'ho
scritta vulgare, perché ho bisogno che ogni persona la
possi leggere, e per questo medesimo rispetto ho scritto
nel medesimo idioma questo ultimo mio trattatello: e la
ragione che mi muove, è il vedere, che mandandosi per
gli Studii indifferentemente i gioveni per farsi medici,
filosofi etc., sì come molti si applicano a tali
professioni essendovi inettissimi, così altri, che
sariano atti, restano occupati o nelle cure familiari o
in altre occupazioni aliene dalla letteratura. [...] Con
tutto ciò vorrei che anco l'Apelle e gl'altri
oltramontani potessero vederla; e qui, per esser io
occupatissimo, averei bisogno del favore di V. S. e del S.
Sandeli, il quale mi facesse grazia di trasferirla quanto
prima in latino e mandarmela poi subito, perché in Roma
è chi si è preso cura di farla stampare insieme con
alcune altre mie. Io intanto anderò finendo la seconda
per farne l'istesso, e parimente l'invierò a V. S.; e
caso che il S. Sandeli voglia favorirmi, perché so che
alcuni termini proprii e alcune frasi dell'arte potriano
dargli qualche fastidio, non occorre che guardi a ciò,
perchè io in questa parte la ridurrò a i proprii nostri
termini. Se io potrò aver tal grazia, V. S. me n'avvisi
subito, e ne procuri quanto prima l'espedizione; e
intanto si comincerà a far stampar la italiana in Roma,
e il tutto resti inter nos. Che sarà per fine di
questa, con baciar a V. S. e a tutti gl'amici con ogni
affetto le mani, pregandogli da Dio ogni contento .
Di Firenze, li 16 di Giugno 1612.
Di V. S. molto I. e molto R.da
Se.re Oblig.mo
Galileo Galilei.

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